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che esaltano e raccomandano e fanno amare la glo- | dice, cui toglie ad esaminare, ne descrive la materiosa insegna della nostra Italia. Specchiamoci in essi per afforzar l'animo nella fede onde s'avviva il sentimento della nostra giustizia, e si accresce la speranza di trionfare su chi la usurpa. Ma spetta a noi di compiere questa speranza colla divina potenza dell' amore. Amore ci farà liberi e sicuri; amore della rettitudine in tutto e per tutti; amore degli uni verso gli altri d'una stessa nazione e della nazione al suo magnanimo Re. Amore è unità; unità è virtù con forza; forza con virtù è indipendenza; indipendenza è libertà, e libertà è l' operosa grandezza, il nobile orgoglio, la verace vita, la benedizione di Dio a felicità dei popoli.

SULLE VARIANTI DEI CODICI DANTESCHI

LETTERA

AL CHIARISSIMO CAV. FILIPPO SCOLARI

È da tempo lunghissimo che ti devo risposta, anche promessa ad una lettera gentile assai che m'indirizzasti pubblicamente valendoti dell' appendice della Gazzetta di Venezia. Era a proposito di alcune varianti alla Divina Commedia tratte da un codice ch'io possiedo delle quali per lo addietro pubblicavo brevissimo saggio: varianti, di cui feci lo spoglio, e mi parve gran ventura comunicare, per la stampa che forse di questi giorni compierassi, a veneratissimo amico mio. Mi rimaneva però sempre il debito contratto volonterosamente a tuo riguardo, e bramavo di soddisfarlo. A' di passati facevo breve corsa nella Italia centrale. Trattenevami brevissimamente in Reg. gio dell' Emilia; ma per gentilezza squisita di carissimo amico mio potevo consacrare alcune ore a leggere gli spogli assai pazienti che da codici ragguardevoli delle Biblioteche più insigni, principalmente d'Inghilterra e di Francia, faceva di elette cose degl'Italiani nostri un egregio Reggiano, cultore accurato delle italiane lettere, esule del ventuno, l'avv. Jacopo Ferrari, che morì l'anno trascorso. È cosa onorata volgere l'esilio operosamente a cultura del l'animo e a maggior lustro della patria. Gli studi più solleciti e più teneri li fece sulle opere dell' Allighieri e massimamente nella Divina Commedia, e vi hanno fascicoli molti che raccolgono minutamente e - con ordine, e con carattere nitidissimo le varianti dei codici consultati. Fa maraviglia vedere come l'esule studioso abbia potuto durare a sì lunga e perseverante fatica, e ne spinge a conchiudere che tutto si compie, e tutto si regge quando amore dentro detta. Di consueto premette alcune critiche nozioni sul co

riale struttura, ne indaga il merito, e pone il lettore
in istato di giudicare direttamente. Sono codesti la-
vori preziosissimi, e che potrebbero oggidì valer
molto ad una compiuta e splendida edizione delle
opere di Dante, massime del Gran Poema. Anzi a
quest' uopo ricopiai la descrizione che fa di un codice
che apparteneva alla Biblioteca di Santa Giustina di
Padova, e che ora trovasi nella Biblioteca Imperiale
di Parigi, ed in essa potrai avere un saggio della
sapiente accuratezza che recò l'erudito Reggiano
nello esame che imprese e compiè di ventisei e più
codici danteschi. Additò agl' innamorati di Dante, al
pari di te e di tanti altri elettissimi ingegni (e chi
non s'innamora di quel sommo intelletto? chi non
lo venera profondamente?) additò una fonte copiosa
dalla quale trar possano molte e molte nozioni im-
portantissime. Tu quindi mi farai buono anche il tardo
adempimento di un mio caro dovere ; in ispecial modo
se l'indugio avesse recato qualche maggiore utilità
al grand' uopo. Credimi per ora e sempre il tuo af-
fezionatissimo
Ab. BERNARDI.

« Questo codice nei registri della Biblioteca è indicato come proveniente da quella di Santa Giustina di Padova (1). È un volume membranaceo in folio legato in pergamena. Sul dorso si legge: Commedia di Dante con comenti. Il manoscritto comincia col capitolo di Bosone da Gubbio: Perocchè sia più corretto e più diletto. Viene dopo quello di Jacopo figliuolo di Dante, che principia: O voi che siete del verace lume. In margine a questo capitolo si legge dalla parte destra un sonetto dello stesso Jacopo, il quale comincia: A ciò che le bellezze Signor mio (2); e dalla sinistra quanto segue: Sonettus suprascriptus cum capitulo infrascripto quod incipit: o voi che siele del verace, factus fuit per Jacobum filium Dantis Aldecheri, et per ipsum missus ad magnificum et sapientem militem, dominum Guidonem de Polenta anno tercentesimo vigesimo secundo, die primo mensis aprilis. Viene dopo il testo della Divina Commedia scritta ad una colonna nel mezzo delle pagine, sui margini delle quali si legge un comento latino. Al comento precede un proemio che incomincia: Liber iste in tres parles principales dividitur, quarum prima appellatur infernus, et continet capitula triginta quatuor ec. Il comento marginale incomincia: Nel mezzo del cammin: Sicuti praedictum est in hoc sequenti capitulo ponit proemium in quo describit dispositionem etc.

(4) Non è difficile che nella invasione e nello spoglio fatto da'Francesi quel libro dalla Biblioteca di Santa Giustina di Padova passasse alla Imperiale parigina.

(2) Veggasi in fine il Sonetto di Jacopo figliuolo di Dante,

<< In fine del prefato proemio alla Cantica dell' Inferno e precisamente alla facciata settima, ove si ricordano le pene infernali si legge: A quibus poenis Betinus de Pilis, qui hunc librum scripsit defendatur der auxilio. Alla facc. 104, ove termina il comento della cantica dell' Inferno e si parla dei demonii, si legge : A quorum demonium conversatione et amicitia plene pro dei misericoruia defendatur Betinus de Pilis, qui hic scripsit die penultima augusti millesimo tercentesimo quinquagesimo primo. E anche in fine al canto 22 della prima cantica si legge: Ego Betinus de Pilis hic scripsi

<< I primi sette canti dell' Inferno sono scritti in bellissimi caratteri semigotici, nitidi e regolari, ma al canto ottavo le lettere incominciano a pendere al quanto al rotondo e finiscono per tondeggiare decisamente. Il carattere del comento segue le medesime gradazioni del testo. Dopo l' Inferno viene il Paradiso e manca affatto la cantica del Purgatorio. Anche i nove primi canti del Paradiso sono scritti in lettere semigotiche di forma alquanto più grande di quelle dell' Inferno, più nitide, e così regolari che sembrano stampate più presto che scritte a mano. Col nono canto i caratteri cominciano ad abbandonare alcun poco la forma semigotica come nell' Inferno e finiscono qui pure per tondeggiare affatto. Anche il comento soggiace alle due variazioni del testo.

<< In fine alla cantica del Paradiso si legge: Hunc comentum tocius huius comediae composuit quidam dominus jacobus de la Lana Bononiensis licentiatus in artibus et theologia, et fuit filius fratris Philippi de la Lana ordinis gaudencium et fecit in sermone vulgari tusco. Et quia tale idioma non est omnibus notum ideo ad utilitatem volencium studere in ipsa comedia transtuli de vulgari tusco in gramaticum literarum ego Albericus de Roxiate utroque iure peritus pergamensis.

« Tutti i segni ortografici mancano affatto nelle due cantiche solamente si osserva un punto fermo alla fine di ogni verso. Si osserva pure costantemente che la sillaba con è scritta in abbreviatura con una c a ritroso (5); che le sillabe per e pro sono scritte con una p che ha la gamba tagliata (p); che in luogo del ch si usa sempre il k, che le prime lettere d'ogni canto sono miniate, e le prime d'ogni terzetto majuscole, ma che tutte le altre sono piccole. Nei due o tre primi canti dell' Inferno erano corsi degli errori di scrittura, che si vedono emendati; ma in tutto il resto delle due cantiche generalmente parlando si osserva una mirabile correzione nel testo, e la debita distanza fra una parola e l'altra fa credere che il lavoro non sia opera di un copiatore materiale. Bisogna credere poi che sia stato collazionato col testo da cui fu copiato, perchè dove mancava qualche lettera fu aggiunta dipoi.

<< Nei primi sette canti dell' Inferno l'ortografia delle parole è diversa da quella degli altri canti. Così pure nella cantica del Paradiso la ortografia, dal canto 26 inclusivamente sino alla fine, è diversa da quella de' precedenti.....

<< Nei primi sette canti dell' Inferno legge sempre maistro per maestro, Biatrice per Beatrice, cum invece di con, to per tuo, soa per sua, como per come, me per mi, cridare per gridare. Duplica poi le consonanti a quasi tutte le parole scrivendo Michelle, stralle, paesse, corlesse ec. Ma dal canto ottavo in seguito questo lusso di consonanti sparisce quasi affatto, il maistro si converte in maestro e non si legge più nè il toa, nè il mi, invece a tutti gli o che incontransi in una voce si antepone una u, e quindi leggesi Cuostantino, mezzuo, cuorpuo, dentruo per Costantino, mezzo, corpo, dentro, luor per lor, puozzo per pozzo ec. Legge qualche volta domque per dunque e catun per caduno; non mai sentenzia e prudenzia, sibbene sentenza e prudenza e simili.

<< Nella cantica del Paradiso non si trova registrato il nome di Bettino de Pilis, quantunque il carattere dopo il nono canto sia simile affatto a quello dell'Inferno dopo il canto settimo (1).

« In un foglio cartaceo legato fra il cartone e la prima pagina sta scritto di carattere moderno: Questo codice fu scritto da Bettino de Pilis come si vede a carte 7 ( tergo) e a carte 107 (tergo), dove si vede pure il tempo in cui scriveva, cioè il dì penultimo Agosto 1351. Contiene il testo di Dante dell' Inferno e del Paradiso (manca il Purgatorio) con li commenti di Giacomo della Lana Bolognese figlio di fra Filippo della Lana dell'ordine dei Gaudenti. I quali commenti, da lui scritti in lingua volgare, sono stati tradotti in latino da Alberico da Rosate bergamasco, come si vede in fine a carte 238. Nel principio vi sono due piccoli poemetti, che formano una epitome della commedia di Dante, composti da Giacomo figlio dello stesso Dante, e da lui mandati a Guido da Polenta l'anno 1322 1.o Aprile, come si legge a carte 3 (tergo).

« Questo prezioso e corretto manoscritto ha la più parte delle buone varianti della Nidobeatina e dei codici Caetan e Glaubernie. Il manoscritto segnato numero 4, che si custodisce egualmente nell'armoir grillé della Biblioteca Imperiale, pare una copia di

(1) Forse lascia travedere che il commentatore potesse ap partenere in qualche modo alla Venezia, avvegnachè nella interpretazione del verso 103 del canto 29 del Paradiso: Non ha Firenze tanti Lupi e Bindi, leggesi: Non sunt in Florentia tot homines qui vocentur Lapi el Bindi, qui sunt multi sicut Vencciis

sunt multi Marchi.

questo, poichè combina esattamente nella lezione se si eccettuino alcuni canti del Paradiso >>.

Sonetto di Jacopo di Dante.

A ciò che le bellezze, Signor mio,
Che mia sorella nel suo lume porta (1)
Abbian d'agevolezza alcuna scorta,
Più in coloro in cui porgo disio,
Che sta divisio (2) presente invio

La qual di tal piacer ci assai conforta;
Ma no (3) a qué ch'ánuo la luce morta,
Ché il ricordar a lor sarebbe oblio.

Poi a voi che avete per natura

Prudenza abituate (4)

Prima la mando che la correggiate.
E sel è digna che l'accomodate

Ch'altri non è in cotai bellezze
Abbia si come voi vere carezze.

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Il nostro Signor Dio padre ed amico
Il corpo suo e il suo sangue benigno
A l'altar ci dimostra, com' io dico:
Il proprio corpo, che nel santo ligno
Di croce fu confitto, e il sangue sparto,
Per liberarne dal demon maligno.

Laonde, Parad. XXIV, 1:

O sodalitio electo a la gran Cena

Del benedetto Agnello; il qual vi ciba

Si, che la vostra voglia è sempre piena!

E mai di ripetere non contento, Purg. x1, 13:

Dà oggi a noi la quotidiana manna ;

Senza la qual, per questo uspro diserto

A retro va chi più di gir s'affunna.

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Nè si saprebbe poi che costrutto avere da queste parole: La vendetta di Dio non teme l'Eucarestia.

JI Bellarmino, confutato Calvino, interpreta suppa, come il Landino, l'Imolese, il figlio di Dante; e aggiungasi il Buti nel Vocabolario ec. suppa, il Poggiali, e nel Dante di Padova, il Parenti. Costoro raccontano essere stata in Firenze la superstizione, per cui quello che, in termine di nove giorni dopo l'omicidio, mangiasse sopra la sepoltura dell' ucciso, zuppa di pane e vino, non poteva per vendetta venire da altri ucciso. E il senso sarebbe : Dio non temere che tale impedimento il ritenga dal castigare.

Io mi astengo dal cercare se la superstizione sussistesse; o se piuttosto dai Commentantori di Dante fosse raccolta tra le veglie per spiegar quel vocabolo poichè Dante che della potenza e della sapienza di Dio sì altamente scrisse, non può avere detto, Dio non temere di cosa di che non temerebbe il più miserabile de' miseri Giudici nostri.

Per questo, altri cercarono altre spiegazioni. Biagioli deriva suppe dal latino supus, d' onde il francese souple, pieghevole; e pensa significare blandimenti, lusinghe intese ad addolcire l'ira altrui e ad nella ingannare. Diversamente, Girolamo Amati, terza edizione di Lombardi, crede che suppe, stia per supplice, supplex; e s' abbia a spiegare: non cura supplice. E l'editore di essa Salvator Betti sta cercando un qualche Codice che legga duppe; perchè, dic' egli, potrebbe questo vocabolo venire dal francese duper, che vale ingannare.

Ma Betti il Codice non troverà: ma Amati esempio non ha di suppe per supplice; poi non si capisce che sia temer la preghiera; nè Biagioli esempio ha di suppe per pieghevole; e in Forcellini manca perfino il supus. Poi egli è sconvenienza grave il dire che Dio non teme i blandimenti o le lusinghe.

Noi abbiamo pronto, nella presente nostra lingua il vocabolo: composto di suo e di piedi. Leggiamo pronomi prefissi in teco in nosco. Leggiamo, Paradiso v. 6, pede; Purg. XXXIII. 8, pe per piede: su' per suo, in pagine molte. Ed allorchè dice brevi parole stanno vicine, si contrassero in una, e la consonante si doppiò così ne venne lassù, quaggiù; e trovasi in Dante simmi, chemmi. Dovevasi dunque stampare su' ppe.

Se piè, pe perdette l'accento, ciò fu pel verso: come il perdette podestà Inf. VI, 96; pietà XVIII, 22, xxvi, 94; satisfarà, Parad. XXI, 93; e persino non ci ha Inf. xxx, 87; e per li Purg. xx, 4; sol tre, XXIV, 133.

Il senso dunque è: Creda il colpevole che Dio non teme che possa sfuggirgli. ALOISIO FANTONI.

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Per quanto sieno numerose le edizioni della Divina Commedia, contandosene più di 300, tuttavia nessuna di esse ha quel fondamento di sana critica che la filologia de' giorni nostri ci è venuto indicando. Un tale fondamento ha procurato il prof. Witte alla presente edizione, correggendone il testo esclusivamente sopra qualtro codici manoscritti scelti in mezzo a più che 400 altri, dopo averli in prova convenientemente confrontati. Il risultato di questo confronto, e le varianti delle tre principali edizioni sono riferite nel modo il più preciso, ed oltre a ciò le note forniscono tutto il materiale critico raccolto sino ai tempi presenti.

LA DIVINA COMMEDIA

DI DANTE ALLIGHIERI

EDIZIONE MINORE FATTA SUL TESTO DELL' edizione CRITICA

DI CARLO WITTE

31 fogli in 8vo, legato, L. 9.

Gli articoli letterari di questo Giornale non si potranno riprodurre senza licenza della Direzione.

TIP. GALILEIANA DI M. CELLINI E C.

di It. 5 per il territorio di Roma e Venezia, prezzo fissato per tutta l'associazione al giornaletto popolare.

-Per comodo poi di quei signori che volessero associarsi al Giornale del Centenario si è stabilito di dividere il pagamento in due rate eguali, una a tutto giugno e l'altra a tutto dicembre 1864. Di ciò potranno pure approfittare quei signori che non hanno ancora sodisfatto l'associazione. Così coloro che si associeranno anche alla Festa di Dante, pagheranno It. 8 nel mese di giugno e It. 5 nel mese di decembre, se sono nel Regno, e It. 12 50, e It. 7 50, se nelle altre provincie.

ISI

Fratelli Nistri, Tipografi Librai in Pisa.

Commento di FRANCESCO da BUTI sopra la Divina Commedia di DANTE ALLIGHIERI (letto nella Università di Pisa dal 1365 al 1440, Testo di Lingua inedito, citato dagli Accademici della Crusca el loro Vocabolario) pubblicato per cura di Crescentino Giannini, Pisa 1858-1862. Tre gr. Tomi in 8.o con Ritratto di Dante dip. da Giotto, e del Buti.. it. L. 45, 00 - Lo stesso, Edizione da Biblioteche, in 8.° massimo di carta imperiale con margini allargati (ediz. di 75 esempl.).

>>

75,00 Eliz. citata nella ristampa (che è in corso) del Vocabolario della Crusca. Si spedirà franca per posta nel Regno a chi ne rimetterà agli Editori in Pisa l'importo con Vaglia Postale..

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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

Europa, che ne acclama da cento cattedre nell' universo scibile le novissime intuizioni?

E quale altra ricorrenza più nazionale di questa, che si prepara all'Autore del Poema Sacro, eccelsa manifestazione dell' arte, palladio della lingua, e codice perpetuo di civiltà, auspice e immanchevole della unità e libertà d'Italia?

Omero e Shakspeare associati nella triade della sovrana intelligenza a Dante Allighieri, cedono a lui il primato glorioso della politica rigeneratrice.

E quella Italia, che incoronata in Campidoglio gli fremeva nel sangue, che nelle ire magnanime e nell' ardenza dello amore lo sostenne attraverso le più dure prove, quella Italia che tanto ha bisogno ancora della fede del Poeta e della carità dello invitto Cittadino, potrà finalmente insuperbire di essergli stata la madre.

Ma e le ceneri di Dante, cui egli stesso indisse l'estremo riposo nel suo bel San Giovanni, dovranno dopo cinque secoli starsene fuori di Firenze quasi a perpetuità del durissimo esilio?

Ravenna, altra gemma della risorta patria, deve adesso porgere generosa a Firenze i resti del suo poeta, e come Genova decorandosi di Cristoforo Colombo restituiva a Pisa le catene ahi! troppo ricor

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