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di cui ho già parlato. Il quale frugando fra quei fogli, molti ne riconobbe scritti dalla mano di Dante, fra i quali vari sonetti, varie canzoni, e altri componimenti di questa fatta, e finalmente un piccolo quaderno che conteneva i primi sette canti dell' Inferno. Come li ebbe riconosciuti, li prese, li portò con sè, li lesse, poi tornò di nuovo a leggerli, e parvergli bellissimi, ma come non era uomo di lettere, volle averne un giudizio più giusto che il suo non poteva essere, e li portò a Dino Frescobaldi, uomo tenuto in grande onore a quei tempi come poeta. Il quale come li ebbe veduti avvisò subito rimandarli a Dante, che allora era in Lunigiana appresso al marchese Moroello Malaspina, e pregare quest' ultimo a voler persuadere il poeta a por fine a quel suo lavoro. Nè Moroello si ristette punto dal farlo, e a questa maniera Dante riprese il lavoro della Divina Commedia, alla quale forse ei non pensava più, tenendo come perduta la prima parte.

La qual cosa è narrata per ben due volte dal Boccaccio, che afferma averla udita ripetere da Andrea Poggi, col quale teneva gran domestichezza.

In quella che il poeta si era rimesso con grande amore al suo lavoro, si sparse la nuova che Arrigo VII era per calare in Italia. Questa novella tante idee e tanti consigli seppe risvegliare negli animi di tutti, che noi vediamo il poeta, che fino a quel punto era sempre Guelfo ardentissimo, farsi di un tratto fanatico Ghibellino. Nè di questo tenendosi contento, egli volle avere un abboccamento coll' imperatore. Quello che trattassero insieme non si conosce; ma si può pensare che egli si sforzasse di persuadere Arrigo di ridurre in sua forza i Fiorentini, e che poi, sdegnando rimaner confuso nella folla degli altri fuorusciti che si erano tutti messi attorno all'Imperatore, se ne prendesse la via di Toscana e si fermasse in luogo dell' Appennino in prossimità delle sorgenti dell' Arno.

È noto come l'Imperatore Tedesco ebbe a ritrarsi a maniera di vinto dalle mura di Firenze, come nel muovere ad una spedizione contro Napoli egli ammalò di subito e morì a Buonconvento il 24 Agosto 1313.

Narra Boccaccio che Dante subito dopo la morte di Arrigo ripassò l'Appennino, e si ritrasse in Romagna, ed uno storico di Cesena dice espressamente che ei si portasse a Ravenna tenendo un invito di Guido Novello da Polenta; però non vi fece lungo soggiorno, imperocchè nel 1314 ei si trovasse a Lucca appresso Uguccione della Faggiuola. Quivi egli conobbe una gentildonna chiamata Gentucca, della quale più e più volte tocca nella sua Commedia, e che tanto gli ebbe a ferir l'intelletto che egli se lo ebbe a rimproverare come grave offesa alla memoria

di Beatrice. E forse, durante sempre questo suo soggiorno, ebbe il poeta un' ultima speranza di rientrare in Firenze, che pur egli abbandonò intieramente mosso da tali ragioni, che più fanno bella l'indole sua agli occhi nostri.

Correva l'anno 1315, e nella celebrazione della festa di S. Giovanni si trattò di richiamare in Firenze un certo numero di esiliati, mediante un riscatto con denaro e la cerimonia religiosa dell' offerta.

In questa occasione molti amici di Dante gli mandarono lettere pregandolo si acconciasse colla Repubblica per ritornare, fra gli altri glie ne scrisse ancora un suo parente, personaggio a quel che può supporsi molto devoto. - Dante rispose che a vil patto non sarebbe mai rientrato nella sua patria; ma soltanto quale innocente.

La Repubblica fiorentina non perdonò al poeta il disdegno col quale egli avea accolto quello che essa credeva avergli offerto come gran favore. Rinieri di Pratovecchio si tolse l'incarico di rispondergli con. una nuova sentenza del mese di Ottobre 1345, per la quale si confermavano tutte le anteriori emanate già contro il poeta, e principalmente la prima del 4302.

E quasi tutto questo fosse poca cosa a turbare la vita di Dante, altre sventure lo attendeano nel suo soggiorno a Lucca, imperocchè di un tratto ebbe a veder precipitata la potenza di Uguccione per opera di Castruccio Castracani. Si decise allora di recarsi. presso Can Grande della Scala signore di Verona. Quivi ebbe onorevoli accoglienze; e si può quasi affermare che, dimorando in quella corte, egli ponesse termine al suo gran lavoro.

L'indipendenza e la fierezza di Dante però non erano le qualità che più lo facessero gradito a Can Grande. A poco a poco, come meglio si conobbero l'un l'altro, gli animi loro si raffreddarono, fino a che il poeta si determinò di gettar via quel giogo, chè tale eragli divenuta l'ospitalità del signore di Verona. Allora egli tornò a Ravenna presso Guido, divenuto allora signore della città, ed ebbevi la più benevola accoglienza. Prima cura del poeta fu di riunir quivi tutta la sua famiglia; ma la calamità dei tempi l'avean diminuita tanto che non gli rimanevano che due soli figli Giacomo e Pietro e la figlia Beatrice, i quali tutti si recarono a lui in Ravenna.

A quest' epoca Dante aveva già pubblicato l' Inferno, il Purgatorio, e buona parte del Paradiso; questi tre poemi, staccati ed uniti andavano già in volta per le mani degli uomini di lettere, e la fama del poeta se ne era già di molto accresciuta, sebbene a quei tempi e' non potessero gustare tutte le bellezze del suo lavoro.

Dante terminò la cantica del Paradiso in sul principiare del 1324. Come l'ebbe compiuta ei lasciò Ra

venna per recarsi in altra città d'Italia; in quale precisamente non si può dire, forse e' fu a Verona, ed in questa occasione forse egli ebbe missione da Guido Moroello di andare a trattare di affari presso la Repubblica di Venezia. Di tutto questo una sola cosa è certa, cioè che egli vi si trattenne breve tempo, e che se ne tornò in fretta a Ravenna, nella qual città come fu giunto, una fiera malattia lo incolse, dalla quale non si potè più liberare.

Egli morì il 14 Settembre di quel medesimo anno 1321. Fu sepolto nel Cimitero della Chiesa dei Frati Minori, perchè e' pare che egli avesse voluto morire vestito dell' abito loro.

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Dante ebbe la statura media, e leggermente piegata ad arco, nobile e grave l'incesso; ebbe naso aquilino, gli occhi grandi, e il labbro inferiore rimontante di un poco verso il superiore, il colorito del viso bruno, la barba ed i capelli neri e cresputi.

Amava appassionatamente tutte le arti e più di tutte, dopo la poesia, la pittura e la musica. Egli avea studiato alcun poco presso Cimabue, e fu amico grandissimo di Giotto, il creatore della pittura moderna. Ebbe anche intrinsichezza coi musici e i cantori più celebri del secolo suo. Dotato di bella voce, egli cantava spesso, е con amore; era questo il modo suo più caro di dare sfogo alle emozioni del suo cuore, specialmente quando esse erano soavi e piacevoli. A. B.

Rassegna Bibliografica

By

Dante as philosopher and poet with an analysis of the Divina Commedia its plot and episodes. VINCENZO BUTTA. New-York, Charles Scribner ec. Com. 124 grand street 1865.

Dante filosofo, Dante patriotta, Dante poeta, gli episodi e gli individui contemporanei all'Alighieri, formaco altrettanti soggetti, meglio anzi altrettanti quadri spiccatissimi nell'opera di Vincenzo Botta. Il valente scrittore adorna di una luce cosi gentile la fedele pagina dell'istoria che da questi brani vagamente ed artisticamente disposti, riesce quest' opera un tutto caro e simpatico.

L'opera di Vincenzo Botta è scritta in inglese. Come Carlo Botta suo padre rese note all'Italia ed ai due mondi le splendide battaglie della indipendenza americana, e procurava a sè il plauso di storico e gloria alla madre patria, questi rende alla libera America una esatta idea del nostro grande poeta. Onde si possa nella brevità delle nostre parole farsi una impressione approssimativa di questo libro di remo che il sistema seguitovi è simile a quello dell'opera di Ferdinando Arriva bene, Sul secolo di Dante. Remosse tutte le discussioni e le disquisizioni rettoriche o grammaticali, segue il Botta passo a passo il poema con un commento storico, contemporaneo all'evento narrato, che se poi s'incontra in tali fatti che, presi cosi so

TIP. GALILEIANA DI M, CELLINI E C.

litari, siano insufficienti a farsi pienamente spiegare, allora completa questa lacuna, con la notizia del tempo precedente o susseguente. La biografia di Dante occupa circa una terza parte di quel volume (di quattrocento e più pagine) ed è cosa bella e completa. L'uomo ed il cittadino sono fedelmente delineati, in guisa che l'Alighieri è vivo nel suo tempo; vivo chè tenta, prova, agisce, reagisce riflettendo l'opera della propria personalità sul suo secolo, mentre questo per converso influisce sui di lui pensamenti e sulle opere sue modificando la sua indole con le circostanze. La stram palata esagerazione del fanatismo ed il devoto panegirico dei pedanti entusiasti, non agirono sull'animo dell'autore. Il Botta eruditamente e seriamente dimostra come fosse ben diverso il concetto Dantesco intorno alla monarchia universale e l'impero, dalla tendenza moderna alla unità nazionale, e prova come quello anziché essere repugnante, fosse invece una semplice esagerazione del concetto politico moderno.

Gjustissimi sono i riflessi e le considerazioni sul pa pato, ma quando scende all'analisi delle idee religiose. dell'Alighieri, noi non possiamo convenire con l'autore.

Foscolo e Rossetti nelle loro opere cercarono con lun. ghi ed eruditi studi di mostrare che Dante era riformatore, ma noi non possiamo adattarci a questo concetto. L'Alighieri, per noi, è un ortodosso fedele al vecchio credo, che di tanto in tanto sbriglia l'ira contro un tristo od un indegno; né ci toglie da questa idea il frequente incon tro che facciamo nelle opere sue delle forme politeisti. che confuse con le cristiane, dacchè bene spesso nei lavori ascetici dei santi padri troviamo, evocati dalle ecatombe, i vecchi miti e gli déi decaduti che vengono a sonnecchiare nei teoremi scolastici. Il Botta predilige l'opinione contraria e crede in Dante uno spirito innovatore, ma non sappiamo adattarvici. Riesce più vero, a nostro avviso, nella determinazione della condotta politica del poeta tra il feroce imperversare dei contrari partiti politici. Crede l'autore che lo spirito di conciliazione e della giustizia prevalessero nell'animo di lui e che la conciliazione e la giustizia, nei tempi feroci, fruttassero all'Alighieri una condanna di barattiere e l'esiglio dai suoi concittadini.

Il Botta dopo avere scorsa la vita del poeta, commenta la Commedia, e traduce i pezzi più importanti in endecasillabi inglesi. Sono questi cosi precisi e pieni di venustà, che fanno desiderare l'intiera traduzione del poema.

AI SIGNORI ASSOCIATI.

Il presente numero, uscito soverchiamente in ritardo per cause indipendenti dalla Direzione, sarà seguite da un altro contenente l'indice e la coperta; il quale però non sarà spedito a quegli associati che sono ancora debitori dell'amministrazione se prima non si mettono in pari colla medesima. LA DIREZIONE.

G. CORSINI Direttore-Gerente

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Esposizione dantesca di Codici, fatta in Firenze nel Maggio 1865.

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Offerte fatte al Municipio Fiorentino per concorrere alle spese per le feste del Centenario e dal medesimo rilasciate alla Società per il Monumento a Dante :

Dal Consiglio Provinciale di Ancona Ln. 1000. Dal Consiglio Provinciale d'Aquila L. 300. Dal Municipio di Cagliari L. 100. Dal Municipio di Portico L. 40. Dal Municipio di Reggello L. 100. Dal Municipio di Castel San Giovanni L. 50. - Dal Municipio di Londa L. 10. Dal Municipio di Arien zo L. 20. Dal Municipio di Cerreto Guidi L. 100. Dalla - Dal Municipio di Castel Bolognese L. 50. Camera di Disciplina dei Procuratori del Tribunale di Prima Istanza di Pistoia L. 50. Dalla Società Filodrammatica di Montevarchi L. 80. Dalla Società dei Filopatridi composta di giovani studenti del Ponte Buggianese in Val di Nievole L. 67. 50. - Dal Collegio-liceo di Siena, raccolte fra i Professori e gli studenti L. 74. Dalla Società dei Progressisti di Firenze, composta di Giovani studenti L. 160 Da alcuni cittadini di Mantova L. 131.

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ma sacro, per la novità del metodo, la chiarezza dell'esposizione e l'accuratezza dell'edizione. Un Volume di pag. 460, al prezzo di L. 2 50. La spedizione franca per tutto il regno, contro vaglia postale franco di L. 2. 50, alla Tipografia Galileiana di Mariano Cellini e C. in Firenze.

Dante e il suo Secolo. Quattordici Maggio mille ottocento sessantacinque; coi tipi della Tipografia Galileiana di Mariano Cellini e C. in Firenze. Volume di circa mille pagine in gran 4to, diviso in due parti. Prezzo lire 40 per vaglia affrancato.

La Scuola di Dante, Anno I del sesto centenario del Divino poeta, giornale scientifico letterario con applicazione allo stato sociale.

Di questo nuovo giornale dantesco, del quale i lettori del Centenario conoscono il programma (N. 41) e che ora si pubblicherà a Bari delle Puglie diamo qui sotto i patti d'associazione raccomandando loro quest'opera che riuscirà oltre ogni dire profittevole a quanti amano gli studi danteschi.

La Scuola di Dante che vassi a pubblicare a Bari delle Puglie, essendo un Giornale che fa seguito a questo presente del Centenario che conserverà perciò la stessa carta, gli stessi tipi, le condizioni stesse; se non che il Giornale, invece di venir fuori ogni decade, uscirà ogni 15 giorni, cioè al 45 e al 30 di ciascun mese; bene inteso però che il N.o, invece di 8 pagine in 4.° grande, ne conterrà 12, e così i Numeri si verranno a compensare.

L'associazione comincerà col nuovo Anno civile, obbligatoria per l'intero anno 1866, con pagamento sempre a semestre anticipato, per le medesime somme che si trovano già fissate: cioè pel Regno d'Italia, annue lire 10; pel territorio di Roma e di Venezia, annue lire 15; per l'Estero, le stesse annue lire 15, calcolate di più le spese di posta, a norma de'contratti internazionali.

Gli associati alla Scuola di Dante sono collaboratori di diritto al Giornale; e però, volendo, sono in piena facoltà di mandare lavori; purchè però facciano cosa che risponda all' indole del Giornale. Nè ciò verrà disdetto a'giovani, che volessero dare i primi saggi de' loro studi su DANTE; anzi ciò servir potrebbe di nobile incitamento; sempre quando la Società compilatrice, approvato lo scritto, l'avrà stimato degno della stampa.

Non si riceve nulla, se non franco di posta. I manoscritti non si restituiscono, nè si accordano numeri separati, perchè, essendo il Giornale destinato a formare un'Opera, la perdita d'un numero porterebbe seco quella d'un volume.

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