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Le associazioni per l'Italia si ricevono in Firenze alla Direzione del Giornale, alla Tipografia Galileiana di M. Cellini e C., e presso i principali Librai.

Incaricati generali per le Associazioni:

Per la Spagna e Portogallo, Sig. Verdaguer, libraio a Barcellona, Rambla del Centro;

Per il resto d'Europa: Sig. Ermanno Loescher, libraio a Torino, Via Carlo Alberto, N.° 5.

missione unanimità nel plaudire al nobile progetto e nel fare a quel Municipio le conseguenti proposte. Facciamo precedere quel documento da una lettera del march. P. Selvatico, diretta al Raccoglitore, giornale della Società d' Incoraggiamento in Padova, nella quale propone che con Dante si onori anche Giotto, il dolce amico di lui, e che la sua statua sorga rimpetto a quella dell'Allighieri; proposta che fu egualmente tenuta in conto. Segue poi un articolo del medesimo, pubblicato nel Messaggere di Rovereto, del 22 Gennaio 1864, che meglio assai della nostra parola rivela lo zelo di quegli egregi cittadini per quest'opera patri triottica e ne fa oggetto di nobile emulazione a tutti i Municipi Italian,

(Dal Raccoglitore).

G. C.

Lessi con molto piacere nel N.° 4 di questo Giornale, un cenno sulla lettera pubblicata di fresco dal nostro Filippo Fanzago, nella quale egli invita accon

ciamente noi Padovani, ad alzare una statua all'Allighieri, lettera seguita dalle epigrafi che il nostro bravo Carlo Leoni preparava allo scopo, e che sì bellamente manifestano il suo patrio e generoso sentire.

Nulla di meglio che nel Prato della Valle, in cui veggonsi, pur troppo, i simulacri di tanti mediocri ed oscuri, sorga, a compenso, quello di colui che fu si raggiante luce dell' Italia e di tutto il mondo civile; e che venuto qui in Padova giovanetto per istudiarvi nella sua Università (1), vi ritornò molt'anni dopo, e vi tenne per qualche tempo la dimora. Ma parmi che si farebbe opera ancor più degna, se di contro alla statua di lui, si ponesse quella del suo amico e concittadino, l'immortale Giotto.

Fra tutti i valent' uomini ch'ebbero stanza in Padova, Giotto fu quello che meglio di ogni altro la illustrò, la arricchi di opere stupende.

Giovane egli vi condusse que' freschi, dell'Annunciata nell'Arena, che formarono e formano l'ammirazione e lo studio di tutti i ben veggenti cultori dell'arte. Qualche anno più tardi lavorò altri freschi nel Capitolo del Santo e nella Sala della Ragione. Ai grandiosi esempi da lui lasciati si formò tutta una scuola di pittori abilissimi, fra i quali primeggiano Giusto de' Menabuoi, Giovanni ed Antonio da Padova, lacopo da Verona, il Guariento, e finalmente que' sovrani pennelli dell'Altichieri e dello Avanzi. Chi dunque più di lui ha diritto alla riconoscenza di Padova; e a chi più che a lui ha essa debito di consacrare una testimonianza durevole di ammirazione?

Per caso fortunato, di contro al piedistallo vuoto, su cui si intenderebbe collocare la statua di Dante ve n'è un secondo, egualmente vuoto. - Ebbene, su questo si ponga la immagine dell' insigne che oscurò la fama di Cimabue, ed ebbe il grido nella pittura. Così ambidue le statue, l' una di fronte all' altra, serviranno a dimostrare, come i Padovani nel dare a que' sommi testificazione di stima, li volessero in certo modo congiunti, quasi a rimembrare la dimestichezza ch' ebbero fra loro in vita. Di più, que' due simulacri uniti direbbero al pubblico, colla lingua efficace dell'arte, come Dante, venuto in Padova, visitasse Giotto, e questi onorasse l'altissimo poeta con accoglimento ossequiosamente festoso. Il fatto non è una delle tante presupposizioni della storia, ma ci vien narrato da un quasi contemporaneo al Poeta, Benvenuto da Imola, commentatore del Sacro Poema nel 1375, ed è riportato

(4) Ciò è affermato da Benvenuto da Imola e da Giovanni da Serravalle, scrittori che fiorirono non molto dopo l'Allighieri.

testualmente dal Muratori nel Tomo I, pag. 1184 delle Ant. Ital. Medii Evi.

Ed altra ragione, quasi direi, accennante a storico allegorismo, ci sarebbe per erigere l'una di contro all'altra, le statue dei due famosi ingegni; cioè lo intendimento di far conoscere, come Dante nelle lettere e Giotto nelle arti, fossero esempio, norma ed impulso alla rinnovantesi civiltà d'Italia, e di conseguenza della restante Europa, che avaramente affissata sulle itale contrade, ne rapì l'indipendenza, vi studiò il sapere.

Bramerei poi che le due statue, alle quali solo un abilissimo scalpello dovrebbe dar mano, si figurassero in pose calme e gravi, quali s'addicono alla statua, che non deve togliere a prestanza le movenze dalla sua più libera sorella la pittura. La statua d'un grand'uomo dev'essere, quasi direi, l' apoteosi d'una grande idea (mi si conceda la espressione) sintetizzata in lui. E le idee che si manifestano con mosse sgangherate, denotanti più la convulsa passione che il profondo pensiero, raramente son grandi.

Poi, la statua ha da stare: e il vederne di arditamente agitate, e quasi fuggenti dal piedistallo, come quelle a bernoccoli che martellavano sul marmo i barocchi del settecento, è un disconoscere l'ufficio estetico della statuaria, e le sicure norme che sopra di essa ci lasciarono coi loro esempi gli antichi maestri, insuperabili d'ogni maniera d'arte. - Per carità che non escano due grand'uomini piccini, per voglia di farli apparire inspirati dal genio, come que' tapini quattro poeti che disadornano la sovracornice del nostro Teatro Nuovo, alcuni dei quali paiono intenti, lassù, a far l'ufficio dei vecchi telegrafi a spattole. Povero Torquato, come me lo acconciarono! Chi non lo piglierebbe per un tenore di secondo rango, strillante la grand'aria di sortita?

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Ma di questo non ho paura, perchè spero che attuandosi il vagheggiato progetto ne verrà dal nostro solerte Municipio affidata la esecuzione ad artista pensatore, e permetterà che il pubblico ne veda prima i modelli e ci discorra su a diritto ed a vescio, fin che ne esca quella giustezza di giudizio che vien sempre a galla, quando si consulti a tempo la pubblica opinione.

Ed un' ultima brama, innanzi di chiudere. Mi piacerebbe che le due nuove statue posassero, non sui due piedistalli liberi, ma invece sui due che fiancheggiano l'ingresso del ponte, dallo esterno del Prato, ove sono adesso quelle de'Procuratori Memmo e Diedo. Ne verrebbe di conseguenza che le Loro Eccellenze prenominate dovessero contentarsi di occupare la seconda fila; ma spero che le ombre loro (le quali probabilmente saranno nel regno de'giusti) troverebbero di tutta giustizia simile spostamento.

Non è forse giusto che l' aristocrazia del sangue ceda il luogo alla sola accettabile, quella dell' ingegno?

Vi chiedo scusa, Egregi Signori, di questa mia forse utopistica cicalata, che vi permetto di buttare nel dimenticatojo, pur che non dimentichiate il

vostro

Padova, 15 Novembre 1863

P. SELVATICO.

Processo verbale dell'Adunanza della Commissione Conservatrice di Belle Arti, del 9 Gennaio 1864.

Oggi adunaronsi nella sede podestarile il Podestà Francesco nob. de Lazara presidente, l'ab. Lodovico Menin vice-presidente, professore Andrea Gloria segretario, S. E. Andrea C. Cittadella Vigodarzere, C. Giovanni Cittadella, M. Pietro Estense Selvatico, Teodoro nob. Zacco, prof. Antonio Bernati, dott. Giacomo Berti avvocato, sig. Giambattista Traversi Membri della Commissione Conservatrice dei pubblici monumenti, dott. Pietro Golfetto assessore municipale e dott. Filippo nob. Fanzago invitati dal sunnominato presidente; il primo come preside delle opere comunali edilizie, il dott. Fanzago come quegli che si diede il merito di promuovere la effettuazione di ciò che forma il tema del presente processo verbale.

Espose il Presidente la proposta esternata da parecchi cittadini che tra le statue esistenti nel Prato della Valle fossero erette anco quelle raffiguranti Dante e Giotto, mercecchè Padova dee somma gratitudine all' immortale poeta che la onorò di sua presenza e domicilio, e al sovrano pittore che lasciò nel seno di lei un'opera tanto sublime che non ha påri nell'arte pittorica. Pregò il Presidente che i signori antedetti volessero esternare la reputata opinione sulla convenienza della proposta, sul posto da darsi alle due statue, nel caso che fosse accettata, e sul modo e sui mezzi della sua esecuzione.

Gl'intervenuti, fatte le debite discussioni e riflessioni, dichiararono quanto al primo punto della dimanda, non essere sconveniente, anzi lodevole cosa la creazione delle due statue

di Dante e di Giotto nel Prato della Valle dove stanno quelle di altri uomini illustri e dello stesso Galileo, tanto più se pongansi in luogo distinto.

Intorno al secondo punto, cioè, qual posto debba darsi alle due statue nel recinto del Prato, gl'intervenuti medesimi convennero, doversi levare le otto guglie che sono ai fianchi dei due ponti laterali della ellisse, ed alzare le progettate statue sovra i due piedistalli che sorreggevano un tempo i Dogi Antonio Grimani e Francesco Morosini, ed ora sorreggono due guglie; cioè quelli in capo del ponte esternamente prospettanti la Loggia di recente eseguita a spendio del Municipio; e ciò per dare alle due nuove statue la chiesta distinzione, dovendo essere, come le altre tutte dei ponti, di maggiore altezza che le circostanti.

Intorno al terzo punto della dimanda gli stessi intervenuti propongono doversi :

a) Commettere la esecuzione di una statua allo scultore Zandomeneghi, l'altra allo scultore Menisini, per averle in tempo più breve ed eccitare l' emulazione tra i due artisti ;

b) Iniziare dal Municipio una soscrizione nei modi di quella aperta questi giorni in Verona per altro monumento che proponesi essa pure quella città di erigere a Dante;

c) Proporre al Consiglio comunale l'assunzione di parte della spesa a carico del co

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(Dal Messaggere di Rovereto ).

Com'è bello questo fervore universale d'Italia ad onorare il più grande de' suoi figli, il sommo Allighieri! Segnale è codesto del sentimento, in tutti or diffuso, essere il divino Poeta mirabile simbolo di quella unificazione, cui egli indirizzava i voti dell'anima ardente.

Questo gigante del medio-evo, piangendo lagrime di bile generosa, ritempera a virilità l'Italia, e marchiatala turpe bordello, la prepara a farsi donna di di provincie. È da lui che essa apprende ad abborrire le corruttele del clero, la pressura dei signorotti, le scarmigliate discordie civili, l' amara servitù che la riduceva ostello di dolore. È da lui che essa impara ad abbattere le barriere impostele da straniera cupidigia; è da lui finalmente ch'essa attinge il coraggio di sollevarsi a nazione.

Onore a Firenze, che un dì patria ingrata a quel massimo, ora fatta interprete de' nazionali desiderii, gli innalza monumento magnifico di riconoscente omaggio: onore a que'municipii italiani (e saranno tutti speriamo), che aggiungono il loro danaro a rendere più bella quell'opera : onore a Verona, che scelta a primo rifugio e a primo ostello dall' immortale esiliato, ricordando lieta come egli vi scrivesse molti fra i canti del sacro Poema, e sedesse giudice nei tribunali dello Scaligero, e vi lasciasse parte di sua famiglia, ancora superstite in nipoti, degnamente superbi di sì gran nome, ora s' adopera a consacrargli suntuosa statua iconica in una delle sue piazonore a tutte quelle città della Penisola, che adesso porgono pubblica testimonianza di venerazione e di ossequio al Poeta di Beatrice.

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E fra queste è pur da noverare Padova, la quale, onorata dalla doppia dimora di quel sommo (perocchè vi stette giovanetto, a discepolo della sua università, e più tardi ad ospite festeggiato), ora pensa ad elevargli una statua nel Prato della Valle, ove stanno i simulacri di tutti que' chiari ingegni, che od ebbero in essa i natali, o vi attinsero il sapere, o lo diffusero dalle cattedre.

All' immagine di Dante essa vuole aggiungere quella di Giotto, perchè Giotto lasciolle, nei freschi dell'Annunciata, il più cospicuo testimonio, che or ci rimanga del suo insigne pennello, e perchè Giotto la dotò d'una scuola pittorica quasi emula all'altra, ch' egli fondava in Firenze.

Il decoroso pensiero propugnato da alcuni cittadini caldi di patria carità, fra i quali mi è caro nominare il dott. Filippo Fanzago ed il conte Carlo Leoni, fu accettato con tale fervidezza dal nostro Municipio, ch'esso intende proporre tutto il dispendio

al Consiglio comunale, affinchè l'opera possa dirsi cittadina davvero.

E il consiglio (ne abbiamo sicurezza) risponderà con unanime approvazione alla nobile iniziativa del solerte nostro podestà e del suo collegio, perchè il Consiglio nostro, è debito il proclamarlo, non mai si mostra restìo alle imprese onorevoli, tuttochè penose strettezze pecuniarie, da non sua colpa prodotte, gravino il censo municipale.

I simulacri di que' due grandi, condotti da abili scalpelli, verrebbero collocati in uno de' luoghi più appariscenti, su due de' piedistalli che adesso non portano statua. Dovrebbero poi rizzarsi l'uno di contro all' altro, per far così dimostro, non solo come Dante e Giotto qui in Padova meglio stringessero l'antica amicizia, ma per mettere in più efficace evidenza l'idea del congenere ufficio che entrambi esercitarono su due fra i principali fondamenti della gloria italiana, il primo temprando a severa eleganza e ad energica forza una lingua che unificò la nazione; il secondo fissando i canoni di quell'arte che fu maestra di bellezza a tutta la terra civile.

Padova, 17 gennaio 1864

P. SELVATICO.

PARTE NON OFFICIALE

Proposte

PER LA CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DI DANTE

(Dal Diritto, 15 Agosto 1863).

Noi pubblichiamo uno scritto col quale un benemerito nostro italiano, il professore De Tivoli, il quale da più anni risiede in Inghilterra, invita il governo, il parlamento e il paese a prepararsi a solennizzare degnamente il centenario del sommo poeta Dante Alighieri.

Noi siamo una nazione un po' ingrata; e volentieri corriamo dietro al nuovo, dimenticando quel che di buono, d'utile e di saggio ci diede l'antico.

Certamente la nuova nostra civiltà è affatto disforme da quella dei padri nostri; ma non è meno vero che noi siamo tali quali siamo per le virtù e pei vizi che quelli resero famosi.

Sarebbe una grande ignominia pel nuovo regno che esso si mostrasse repugnante ad onorare quelle arti per cui l'Italia sali in sommo onore presso le

genti, e trascurasse con indegna dimenticanza quegli uomini, che assicurandoci il primato intellettuale fra le nazioni d' Europa, ci dettero occasione e argomento di conseguire la nostra esistenza politica.

Dante, ingiustamente trattato dai suoi ammiratori forse quanto dai suoi detrattori, merita di essere onorato fra i primi fondatori della nostra nazionalità.

Quindi è che noi raccomandiamo caldamente ai nostri lettori il seguente scritto del Tivoli, e speriamo che tutti i giornali vorranno occuparsi della sua proposta alla quale non dovrebbe nuocere l'essere stampata. Perocchè qui non si tratta di politie ci pare che almeno sopra un punto possiamo accordarci quanti siamo italiani di ogni partito: nel cercare se non di spogliarci, almeno di nascondere la barbarie in cui siamo caduti, onorando, poichè fare noi stessi più non sappiamo, chi fece.

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Progetto pella commemorazione della nascita di Dante nel 1885 in cui si compie il sesto Centenario.

Oh Italia! placa le ombre dei tuoi grandi. FOSCOLO.

Italiani! Nel 1865 si compirà il sesto centenario dalla data della nascita del più illustre figlio d'Italia, l'immortale Dante Allighieri !

Se è ormai riconosciuto da tutti che primo elemento, base e incrollabile monumento di ogni nazionalità sia la lingua parlata e scritta da un popolo, Dante deve essere considerato vero fondatore e rigeneratore della moderna nazionalità italiana, avendo esso, se non creata, certo formata ed elevata alla potenza di lingua nazionale questa che noi usiamo, degna del nostro suolo natio, e non meno di questo invidiataci dagli oltramontani. Ed esso non solo dette le belle forme alla lingua d'Italia, ma colle sue opere fondò solidamente la sua nazionalità, la sua morale politica e sociale, la sua civiltà, e le dette con ciò il primato su tutte le altre nazioni, che ingelosite si sforzarono di soggiogarla per sempre, sbranandola; e vi sarebbero forse riuscite, se esso colla sua potente parola non le avesse anche impiantato già così addentro nella mente e nel cuore quel desiderio tenace di unità, che germe imperituro ora finalmente comincia a fiorire, e che tutti gli sforzi dei suoi nemici non riuscirono nè riusciranno mai più a svellerle dal seno. Vissuto esso stesso in tempi calamitosissimi comprese, col senso squisito di chi ben ama, che tutte le sciagure sì individuali che nazionali nascevano dalle zizzanie seminate da coloro che volevano tener tutti divisi per dominar tutti, e deprecò le discordie ed esortò all' unione, senza la quale era impossibile esser nazione. Ora finalmente fatti accorti da lunga, dura esperienza,

noi poniamo mente ai suoi precetti, e uniti tutti scuotiamo il giogo che ci impose lo straniero e risorgiamo a vita di nazione. Diamo dunque alla memoria di quel magnanimo un attestato della nostra gratitudine che ben gli è dovuta.

La Germania celebra con gran solennità il centenario del suo Schiller, del suo Guttemberg ed eleva loro monumenti; l'Inghilterra celebra il centenario del suo Burns, del suo Shakspeare.

Potrebbe l'Italia senza vergogna mostrarsi al confronto di queste nazioni, tanto sconoscente da lasciar passare in ingrato silenzio, o men che degnamente celebrato il prossimo centenario del vero primo suo rigeneratore a cui va debitrice di tanti benefizi, di tanto riflesso di gloria, e fino della sua esistenza distinta fralle nazioni moderne, ora che per la prima volta può, se vuole, onorarne la memoria come deve? No, vivaddio no. Essa non si meriterà sempre il titolo di ingrata, financo verso la memoria dei suoi veri benefattori. Essa, sì, corrà questa occasione per placar la grand' ombra di quella vittima delle sue passate discordie e darà con ciò pegno di maggior saviezza, tolleranza e concordia futura fra tutti i veri figli d'Italia. In qual modo dunque potranno gli Italiani degnamente onorare l'altissimo poeta ? Eccolo. Si convochi fino da ora pel 1865 un Congresso di Dantofili da tutti i paesi. Si invitino a riunirsi in Firenze a quell' epoca non solo essi, ma si faccia, con decreto del Parlamento, e si trasmetta per mezzo diplomatico in tutti paesi d'Europa e d'America un invito ufficiale ai governi ed a tutti quanti posseggono codici o commenti antichi del divino poema acciò li portino o mandino a Firenze. Si offrano tutte le possibili facilità e garanzie nazionali a tali possessori dei preziosi volumi; come furono offerte qui in Inghilterra pella Loan collection dei quadri antichi a Manchester, e per quella degli oggetti d'antichità preziosi, raccolta nel South Kensington museum.

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Si faccia sapere che scopo di questa raccolta si è di collazionare i testi, formarne un catalogo autentico in cui saranno notate le particolarità di ciascun testo e il nome e l'indirizzo di ciascun proprietario dei medesimi. Quando ogni timore di rischio sia dissipato, governi e particolari faranno a gara per concorrervi. Riuniti così i codici, i membri di questo congresso dantesco procederanno a collazionarli tutti, sia in sedute generali, sia dividendosi il lavoro in tante sezioni e sotto sezioni, come si giudicherà più utile e praticabile. Collazionando due o tre canti ogni giorno, in sei settimane circa, tutta la Divina Commedia potrebbe collazionarsi. Si dovrebbe allo stesso tempo notare e registrare ogni variante in ciascun codice per pubblicarne poi un

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