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TEOLOGIA ESTETICA E SOCIALE

CONFERENZA I.

La illuminazione del Soprannaturale nella Società civile ovvero la Selva, il Colle e le tre Fiere della Divina Commedia.

Oggidì si vogliono avere uomini grandi, eccelsi, potenti: si vogliono profondi pensatori, scrittori eleganti, operatori audaci, eroi, guerrieri, artisti, e legislatori sommi. Non evvi dubbio è una smania sublime che ferve ne' nostri petti: ci preme alzarci al sommo della piramide sociale, far grandeggiare lo Stato e cingere la fronte della nazione di un diadema, smaltato di oro e tempestato di gemme.

Ma, questa creazione morale, affinchè sbocci e frutti, ha uopo di una scintilla; e la scintilla sembra che le debba calare dal Cielo. Alessandro passa un deserto per giungere al tempio di Giove Ammone; Ulisse, Enea, Ruggero, Rinaldo percorrono lunghi spazi per mare, per sotterra, per aria, affin di recarsi a consultare il libro del loro destino, che dovea venir aperto da Tiresia, dalla Sibilla, da Merlino e dal mago. Ciò, sotto al velo dell' epopea, vi dichiara che i valorosi camminano ad attingere dall'alto l'ispirazione: l'artista per pigliarvi il lume ideale del bello, il viaggiatore per consultare la stella che gli serve di polo, il soldato per accendere l'entusiasmo, il filosofo per seguire il volo della metafisica, il giurista per istudiarvi l'esemplare della rettitudine, il legislatore per ottenerne il genio

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della sapienza. Gli antichi, non avendo spalancato innanzi al loro sguardo il Cielo, come l'abbiamo noi, sentivano il bisogno di fingerselo tuttavia aperto: onde Temide fatta generare direttamente da Giove e gli arcani colloquii di Numa con la ninfa Egeria e la scienza del giure romano dato a custodire al collegio de' pontefici. Ecco il sospiro, ecco l'anelito che ne' più grandi mortali trascina gli spiriti: Dio e il soprannaturale. Ah! pur così il soprannaturale è l'atmosfera che l'uomo respira; è l'essenza della sua fede, della sua speranza, del suo amore, del suo genio. Il soprannaturale si presenta all'uomo come un centro, ed ei muove ad incardinarsi; gli si presenta come una equazione magnifica che cerca di sciogliere non tra uomo e uomo, ma sì tra l'uomo e Dio, tra il finito e l' infinito, tra il nulla e l'essere assoluto, sicchè dal finito e dal nulla si lancia di qualche modo nell'assoluto e nell'infinito. Ma perchè parlo di equazione e di centri ? Le figure matematiche sembrano troppo astratte per descrivere l'unione tra l'uomo e Dio. Dirò dunque : l'uomo è come il fiore, che il mattino si apre, bee l'aria e la luce, e ne vive. Il fiore è l'uomo, la luce è Dio, l'aria che trasmette la luce, è il soprannaturale! Quest'alito vivificatore rigenera e ristora la terra, trasforma e beatifica le umane stirpi, e coll' illuminazione divina è sempre potente in creare un nuovo mondo sociale: lo crea ne' primi tre secoli, e di pagano lo rende cristiano; lo crea nelle aspre stagioni del mediano evo, e lo rende di barbaro incivilito; lo crea in tutte le battaglie delle eresie, e di sofistico lo rende assennato; lo crea nello scontro dell'ateismo razionale, e d'incredulo lo costituisce credente. Oggidi stesso tende a crearlo contro alla sfrenatezza della democrazia al berretto rosso del demagogo oppone la bianca stola del Cristo; lo vuole rinsavito e socialmente ordinato.

L'Alighieri è il più illustre cittadino, atteggiato alla luce folgorantissima del soprannaturale. Passò il fragoroso torrente di sei secoli, da che il vecchio poeta fiorentino dorme l'eterno sonno a Ravenna sotto l'ombra melanconica di un marmo sepolcrale. Ciò nondimeno mi pare di vederlo innanzi a' miei sguardi sempre vivente, sempre di più bella vita gioveneggiante sull'immenso teatro della civil società, sempre rappre

sentante col fascino della sua magniloquenza una Commedia veramente divina.

Egli, uscito fuor della selva oscura, è lì nell'atteggiamento solenne alla luce soprannaturale del dilettoso colle, alla piova de' raggi luminosi del divin Pianeta. Tre fiere o tre principali colpe lo rimuovono dal benefico e vivificante lume; ond' egli tiene altro viaggio, perchè lo ritrovi nella propria scaturigine, nell' eterno Pianeta, in Dio. Lo ritrovò veramente quando si innalzò alla mirifica contemplazione della trina luce che in unica stella scintillando, appaga ogni desiderio.

La decomposizione di questa sintesi nell'analisi leggiadramente costituisce il tema della presente Conferenza. Vediamolo.

Quando leviamo gli occhi al Cielo e guardiamo al sole e alle stelle, che di chiari lumi seminano l'immenso vuoto; quando guardiamo all'ordine stupendo e perfetto che lassù regna, sentiamo ricorrere spontanea alla nostra mente l'idea e la manifestazione di Dio. Onde sclamiamo con Davidde: I Cieli annunziano la gloria dell'Altissimo.

Diversamente accade, se volgiamo alla terra il viso. Nella terra signoreggiano gli uomini: questi, intelligenti e liberi, dispongono di ogni cosa a talento. Chi mai pensa di scorgere in questa società umana l'operazione di Dio? Io cerco il figliuolo del soprannaturale e forse nol trovo; trovo il naturalista, il quale mi grida: Il mondo e la civil società annunziano la gloria dell'uomo. Qual fiero errore! Il sovrannaturale divino ci si fa innanzi e raggiando della sua luce per quanto è vasto il creato, ci avverte che la terra non meno del Cielo, la civil società non meno dell'universo appartengono a Dio. Come l'uomo è inabile a piantare il centro de'cieli; così è inabile a stabilire in terra il fondamento del civile consorzio. La fondamental pietra dell'edifizio sociale preesiste all' uomo; ella è divina, ella è soprannaturale.

Ma non vogliamo più lungamente proemiare. È temp' omai di sollevare una punta del velo misterioso che ricopre l'allegoria dantesca, e di additarne un minuzzolo delle infinite ricchezze. È omai tempo di alzare il sipario al dramma dell'Ali

ghieri, a questo teatro di maraviglie, a questa nuova e non mai rappresentata Divina Commedia; perchè la società spettatrice possa cavar pro da poesia si alta.

Chi è mai quegli che vedete sul palco scenico, dal magniloquente aspetto, dal colorito suo bruno, dal naso aquilino, dall'occhio celeste, ove gli scintilla il fuoco di una visione sublimissima? Favete linguis; zittite, o profani: è Dante Alighieri, il protagonista della religiosa epopea, il più grande ingegno del bel Paese! Egli muove a favellar dolce e soave, non sotto le nebbie inglesi sempre agglomerate, non sotto le buie e gelide zone alemanne, ma sotto al limpido e folgorante cielo d'Italia, ove torrenti di poesia gl'invadono l'anima e armonie di canti gli suonano fra le labbra. Egli rinnovella disperato dolore; egli è li lì per cominciare :

<< Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura,
Chè la diritta via era smarrita ».

Il poeta nell'anno trentesimoquinto dell'età sua che, secondo Aristotele (1), è il mezzo dell'ordinario corso della vita umana, trovossi smarrito in una selva, dove la luce del sole non batte mai, epperò tanto intrigata, oscura, profonda, che per uscirne non potea trovare con tutto il vigore di sue forze ed industrie la via diritta. E, comechè gli è troppo duro, increscevole ch'ei rinnovelli cotal suo disperato dolore, rinnovandogli nel pensiero ben grande paura; ciò nonostante, per trattare de' buoni ammaestramenti che ne ritrasse a utilità sua e degli altri, farà parola de' diversi casi da lui diligentemente osservati.

Che cosa in se nasconde l'allegoria della selva oscura, vedova del fulgore solare? Nel senso teologico la selva erronea di questa vita (2), lo stato di un'anima inviluppata nell'oscura caligine de' vizii, la quale, priva del lume della celeste grazia, si aggira in un laberinto inestrigabile di sempre nuovi errori. L'enimmatica selva è una figura in rilievo, una profezia in

(1) Lo stesso insegna Dante nel Convito, Tratt. IV, cap. 23.

(2) Parole dell' Alighieri, Op. cit., cap. 24.

azione di ogni società senza la luce della fede e della grazia, tra la tenebria degli errori e de' delitti. L'oscura selva!! il cielo è si chiuso alla sua fronte, che fil di luce non la rischiara; la preme intorno intorno la notte, crepuscolo di aurora non apparisce. E qui notate l'amarezza del poeta, l'oscurità in che ritrovossi, l'aggirarsi continuo senza poter trovare la verace via... tutte cose che ben convengono all'empio. Ed oh! entrar si potesse nel cuore di tanti che il mondo chiama beati, perchè doviziosi, o alto locati, o immersi nel truogolo delle voluttà; sulla soglia di quel cuore si leggerebbe scritto: « Qui non entrò mai pace, non est pax impiis (1) ». E come tormentosa ed inquieta, così pure tenebrosa è la via dell'empio: « Via impiorum tenebrosa (2)». E siccome chi cammina fra dense tenebre, non sa dove si vada, non prevede dove l'aspetta un pericolo, dove aperta è una voragine, così chi va per la via della colpa, reso cieco dal fumo delle passioni, non conosce dove andar gli convenga, non sospetta dover cadere quando stima di andar sicuro: «Nesciunt ubi corruunt (3) ». Anzi, camminando fra le tenebre, neppur si vede, se si vada o piuttosto si giri e rigiri, stando sempre al medesimo luogo: « In circuitu impii ambulant (4) ». Corrono, ma fuor di via : « Currunt, sed extra viam (5) ». Perciò non hanno la pace de' figliuoli di Dio; pace ch'è la tranquillità dell'ordine; ordine ch'è la base d'ogni società che non voglia perire.

È per questo che la distruzione della fede e della morale cattolica seco porta velocemente la distruzione de' regni, la rovina, il disfacimento, la desolazione de' popoli. Laonde nel senso politico o sociale il poeta si trovò nella selva oscura del dispotismo e dell' anarchia, in cui non vedeasi più traccia del diritto e del giusto. Tra le ombre caliginose di questa selva, irta di spine e bronchi, principia l'agonia della società, si levano gli spettri della notte nazionale, nè si vede dalle patrie pen

(1) Is. XLVIII, 22.

(2) Prov. IV, 19.

(3) Nell'op. sopra cit.

(4) Ps. II, 19.

(5) D. Bernardus, lib De diligendo Deo, cap. 7.

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