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soli primi canti torre il tema: qui sono raggi di luce non ancora riflessa, non ancora graduata ne'brillanti colori dell'iride; suoni sparsi che non rendono ancora armonia. L'armonia richiede che i diversi elementi corrispondano col tutto e tra loro. Per la qual cosa quelli che accennano solo l'idea di Dante senza dimostrarla con tutto il Poema, tornano somiglianti all' indomito corsiero descritto dal Byron, che sbalza, urta e fracassa sperdendosi nella solitudine del deserto. La Divina Commedia è un tempio, in cui l'atrio deve armonizzare con tutta l'architettura interna, fino col Sancta Sanctorum; per guisa che una e singolare deve risplendere l'euritmia e dell'atrio e del tempio.

Tanto più che il Poeta nelle sue incalorite e svariate dipinture si mostra infinitamente simmetrico. Questo amore per la simmetria è da lui per principii professato; onde nel suo Convito scriveva: « Quella cosa l'uomo dice esser bella, le cui parti debitamente rispondono, perchè dalla loro armonia risulta piacimento (cioè bellezza)... L'ordine rende un piacere, un non so che d'armonia mirabile ». La simmetrica correlazione lo portò a fare il suo Lucifero trino ed uno, perchè Dio è tale; il luogo dove l'uomo peccò facendosi degno di morte, e l'altro dove fu redento e fatto degno di vita, antipodi fra di loro; dieci i gironi dell'Inferno, dieci i gironi del Purgatorio, dieci i circoli nel pozzo di Malebolge e Lucifero nel mezzo; dieci le sfere di qua e Dio nel centro. Egli, l'Alighieri, sente il bisogno di una costruzione simmetrica del mondo, e ciò gli fa presupporre in altro emisfero vaste ed incognite contrade: così antivede l'America, alla quale approderà Cristoforo Colombo (1). Per lo che la Divina Commedia è una geometria. In fronte alla porta dell'accademia di Platone stava a gran caratteri scritto: Chi non sa geometria, non entri. La geometria è la scienza delle proporzioni; e quel sovrano lume della sapienza greca voleva che alle proporzioni la mente degli scolari fosse informata, perchè sono la chiave maestra, sotto a cui posavano e da lui si aprivano i tesori di tutta quanta la scienza.

Per siffatta, direi, simmetria geometrica lo scopo del primo

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canto dev'essere simmetrico all'ideale dell' ultimo canto e di tutti gli altri che compongono l'intiero tessuto del Poema. Perciò il mio è un documento, non povero e digiuno, ma dovizioso e robusto della dovizia e robustezza di tutta l' epopea. Tiriamo diritto alla poesia. Ella è come un palagio a tre piani: Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Basta d'aver salutato da lungi codesto meraviglioso poema, per apprendere che Dante Alighieri tolse lo scopo di far conoscere ed odiare la colpa che l'uomo trasvia dal retto sentiero, mostrando com'egli è punito da Dio (e ciò fa nella prima Canzone dell' Inferno); conosciuto il peccato, come si purgano i mali abiti e si apparecchia la materia alla forma della virtù (e ciò nel Purgatorio); purgato l'animo e reso abile a ricevere il sommo Vero e con esso la fruizione del sommo Bene, com'è ravvalorato a veder Dio, scopo supremo della creatura ragionevole (e ciò nel Paradiso). Gli stessi titoli adunque messi sulla fronte delle tre Cantiche, Inferno - Purgatorio - Paradiso ci aprono il fondo di quella fede che il Dottore delle nazioni definiva «Sostanza delle cose da sperarsi, substantia rerum sperandarum (1). La Divina Commedia è tutta un' ispirazione del Cattolicismo. L'Inferno dantesco vi simboleggia l'Inferno cristiano; il Purgatorio dantesco vi spiega il Purgatorio cristiano, e la dottrina del Paradiso dantesco non è che uno stillato della Teologia cattolica di san Tommaso di Aquino. E Dante Alighieri, discepolo di un Maestro divino, si spoglia in questi tre regni dell'oscurità della selva selvaggia, si sveste della tenebria della colpa, e si riveste del luccicante splendore del dilettoso colle, ovver della fede celeste, che lo ripone sulla verace via abbandonata. Ecco dunque lo scopo dantesco; ecco il bandolo per dipanar la gran matassa, per risolvere il problema di quella Commedia che chiamiamo divina, di quel poema che sacro nomò l'Alighieri: «Se mai continga che 'l poema sacro,

Al quale ha posto mano e cielo e terra, ecc. (2); »

(1) Hebr. II, 1.—Nota san Tommaso, 2a 2ae quaest. 4, art. 1, che l'Apostolo fa menzione delle sole cose da sperarsi, come parte più nobile e principale: non esclude perciò gli altri oggetti della fede, come l' Inferno, il Purgatorio e simil. (2) Paradiso, XXV, vv, 1, 2.

di quel mirifico dramma, donde raccoglieremo, mediante queste nostre Conferenze, una completa Teologia estetica e sociale, un'epitome di tutta la dottrina cattolica, ridotta a poesia, un codice di tutti i dogmi del Cristianesimo, coloriti della folgorante luce del bello. « Divina Commedia significa Sacra Rappresentazione » nota il Settembrini (1), « simile a quelle sacre rappresentazioni del medio evo, che si chiamavano misteri. È detta divina perchè rappresenta la scena di un mondo soprannaturale che la tradizione religiosa aveva già disegnato e diviso in tre parti ». La Religione adunque è il fine cardinale, lo scopo principe della Divina Commedia. Laonde questo scopo invade tutte le fibre del Poema, gli è sostanza e sangue, e da per ovunque si rivela: è lo spirito cristiano cattolico ch'è diffuso per tutte quelle vaste membra, e ne costituisce, per dir così, la mente col complesso delle verità speculative riguardanti i dommi, e quasi ne forma il cuore con quel processo di atti virtuosi e di pietà soprannaturale, che il poeta con vivi colori pennelleggia. Brevemente dischiude all'uomo il teatro del mondo invisibile in armonia col mondo visibile, e con tal pensiero, come filo conduttore, cuce ed inanella insieme tutti i canti delle tre Cantiche. E qual cucitura e tela ben ordita! Adunque la musica dell' armonia dantesca, fatta stonare dal concetto religioso, produrrebbe sconcerto di opere, falsando tutta la fisonomia della meravigliosa epopea. In tutte le cose si vede stampata una fisonomia. Eccovi dinanzi un uomo che non avete mai veduto; voi non ne conoscete nè l'origine nè le azioni : chi è costui? Che vuole mai? Quale il segreto dell'animo suo? Voi non ne sapete nulla. Ma, per una strana coincidenza delle cose umane avete bisogno di giudicare di lui al rapido baleno d'uno sguardo. Il volto è lo specchio dell' animo; dunque al vederlo semplicemente, lo giudicate senza ingannarvi, principalmente se grandi vizii o grandi virtù si annidino nel suo animo. Or quale la fisonomia dantesca ? È tutta religiosa; ella è qui: -Divina Commedia ovver Poema sacro, Inferno, Purgatorio e Paradiso. Come dalla faccia del leone, della volpe,

(1) Lezioni di Letteratura italiana, Vol. I, cap. XVI.

dell'agnello tu conosci la superbia, l'astuzia, l'innocenza; cosi dal volto scintillante della Divina Commedia ti si offre la parvenza della soprannaturale Religione.

Per la coerenza de'nostri principii, se il proemio dev'avere necessariamente un vincolo col poema, lo scopo del poema deve essere senza dubbio lo scopo del proemio, cioè il riordinamento religioso della civil convivenza. Quale che fosse altro scopo, romperebbe ogni vincolo tra le due parti di questo perfettissimo tutto. Esaminiamo per poco la corrispondenza tra l'allegoria esecutiva e l'allegoria proemiale. In tutto il poema s'intreccia; dunque da tutto il poema si dee cavare. Le tre fiere che simboleggiano le tre capitali colpe, hanno il loro riscontro nell'Inferno e nel Purgatorio, ove si puniscono o si purgano gli uomini viziosi. La luce del Colle si riflette e fiammeggia, come nella sua sorgente, nel Paradiso. Di così credere mi danno cagione alcune terzine dell'ultimo tra tutti i canti della Divina Commedia :

<< Ed io ch' al fine di tutti i desii

M'appropinquava, sì com' io doveva,
L'ardor del desiderio in me finii.
Bernardo m'accennava, e sorrideva,
Perch' io guardassi in suso; ma io era
Già per me stesso tal qual ei voleva :
Che la mia vista, venendo sincera

E più e più, entrava per lo raggio
Dell'alta luce che da sè è vera (1) ».

Essendo il Poeta colle labbra al fonte d'ogni contento, sentì finire l'ardore della sua sete. Indi con bei modi che riescono a condur l'anima al sommo suo Bene, si precipita e s'inabissa nella fiumana inestinguibile della luce divina. Nobile ed alto parlare quello entrar per l'alta luce, che da se è vera; cioè: che ha in sè e da sè la ragione del suo essere perfettissimo. Or, la luce vera dell'ultimo canto, che si schiude all'alto viaggiatore allegorico, la luce vera, lux vera, come dice san Giovanni, guidatrice e illuminatrice degli uomini che vengono al

(1) Paradiso, XXXIII, vv. 46-54

limitare di questo mondo, quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum (1), è senza dubbio la luce del primo canto, la luce de' raggi che coprono le spalle d'una dilettosa collina in mezzo ad una profonda oscurissima selva, la luce dei raggi del Pianeta che mena dritto altrui per ogni colle. Questa luce non posso meglio esprimerla che col nome di translumi– nosa, come diciamo transatlantico per indicare le regioni di là de' mari atlantici. Perciò l'ardore della sete che nell'ultimo de' canti estingue il Poeta, è quello certamente di salire l'altezza del dilettoso monte, come nel primo canto l'animo suo tanto forte bramava; l'altezza del dilettoso monte che, al dir di Virgilio figura della scienza umana, è principio e cagion di tutta gioia, ove sfavilla la luce dell'Etica cristiana, ove scintillano tremolando i raggi della Morale cattolica, ove sfolgora di meridiano lume il sole della verità che non mai tramonta. Facciamone la prova con un altro parallelo, colle ultime parole dell'ultimo canto del Paradiso:

<< Ma già volgeva il mio disiro e 'l velle,

:

Si come ruota che igualmente è mossa,
L'Amor che muove il Sole e l'altre stelle ».

Vale il dire la mia volontà era accordata, secondo il movimento della divina, come ruota che senza scosse, d'un moto equabile e uniforme, obbedisca alla forza che le fu impressa. Il che forma l'armonia religiosa e sociale: non si sa ben comandare, se non si sa ben ubbidire. L'ordine religioso e sociale non è che l'armonia di varii cerchi concentrici, dipendenti gli uni dagli altri, e mossi e regolati tutti da un immobile centro divino, che il Poeta chiama l'Amor che muove tutte le sfere, le quali nuotono nel grande oceano dello spazio. Tutti i poteri, tutte le sovranità delle sfere concentriche e religiose e sociali vengono mosse da una Mano divina, che sta come nascosta dietro le scene quotidiane della vita. Intanto, se il disegno finale, ultimo, supremo dell'Alighieri è la uniformità del suo volere a quello di Dio; si può quinci dedurre che il disordine

(1) Joan. 1, 9.

JANNUCCI-Teologia estetica e sociale della Div. Comm.

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