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stra la Chiesa, tanto benemerita della pubblica prosperità dei regni e si persuadano che le ragioni della Chiesa e dell'impero sono si strettamente congiunte, che quanto vien quella a scadere, tanto dell'ossequio de' sudditi e della maestà del comando questo si scema. Che anzi conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del socialismo e del nigilismo, quanta non possono avere le leggi umane nè i costringimenti de' magistrati, nè le armi de' militi; ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella quale possa efficacemente dispiegare i suoi benefici influssi a favore dell'umano consorzio. » È conforme a questi pensieri la recente opera dell' Abate alsaziano Vinterer, deputato al Parlamento tedesco, Le Socialisme contemporain. Onde il socialista Louis Blanc con distinta analisi dimostra che la rivoluzione francese del novantadue discende per necessaria illazione dalle Quattro Proposizioni, nelle quali Luigi XIV aveva fatta rinchiudere tutto il cesarismo contro la Chiesa (1); e il Preposito Dottor Döllinger assegna qual più potente causa alla decadenza dell'impero germanico la Riforma dell'eresiarchia luterana (2). Sapiente dunque oltre ogni dire fu la politica di tutta l'antichità cioè quella di congiungere intimamente a' regni e alle monarchie la Religione.

Ritorniamo all'Alighieri, all'albero della nazione che mirabilmente giovaneggia, quando il grifone gli lega e gli congiunge il carro ovvero la Chiesa. Ma ciò è una creazione poetica o una verità positiva? Rinverdi davvero l'albero nazionale e menò fiori e frutta d'intelligenza e di vita?

Io rispondo: Sì.

Come in effetto venne stabilito quest'ordine di cose che noi veggiamo? Sapreste voi dirmi, o increduli, voi che reputate una fiaba e una solenne vanità il Cristianesimo e la Chiesa, sapreste dire come nacquero gli Stati politici, gl'imperi e le repubbliche? come si costruirono le dinastie, come le libertà popolari si svolsero e fiorirono da milleottocento anni in qua? Ma con

(1) L· Blanc, Histoire de la Révolution francaise. pag. 252.

(2, Vedi l'Unità Cattolica, 20 Aprile 1871.

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tro a voi mutoli si leva un sublime parlante che da tutto il mondo è inteso: parla, o lettori, la storia; ed ella manda persuaso ognuno che sotto all' influire della Chiesa sbocciò con tutti i suoi portenti l'êra volgare e contemporanea. Onde alla Chiesa non altro spetta di fare che un semplice atto: ella innalza il dito, accenna agli Stati moderni, a' monarchi, a' consoli, a' repubblicani, agli eroi, a' navigatori, a' sapienti che trassero la luce di Dio in terra, empiendone già due millesimi; e dice io ho parlato per la bocca di tutti costoro, io che li nutrii e li produssi. Il Dio che infiammò il loro genio, la lor lingua e le azioni loro, è il mio Dio. Un acerbo avversario della Chiesa romana, il Bianchi Giovini, era costretto di scrivere: « Il papato fu una gloria dell' Italia, e fu grandemente utile all'Europa. Nel medio evo, quando tutto era sconvolgimento ed anarchia, la sua influenza religiosa impedì la dissoluzione della società: tenne uniti i popoli col legame di una religione uniforme, e col propagarvi le leggi romane passate nel diritto canonico; e sparse fra loro i germi di una futura civiltà. In Italia mantenne vive le tradizioni romane, che furono la causa, che essa per la prima si liberasse dal caos del medio evo; essa la prima si desse leggi scritte e si volgesse a quel precoce incivilimento, che fu fiaccola civilizzatrice di tutta l'Europa (1). » Chi dunque, prima di restaurare l'Europa intiera, costrusse a civiltà novella l'Italia? Noi la vediamo bella, colta, dotta, d'ingegni e di svariate produzioni fiorente: non è più l'umile Italia scoperta da Enea, aspra e ululante di belve, << Hinc exaudiri gemitus iraeque leonum Vincla recusantum, »

come narrano i virgiliani versi: non è più l'Italia de' latini, poderosa di opere, ma tetra di servaggio, di pagane costumanze sporca: è l'Italia invece de' moderni secoli, maestra universale di Civiltà. Or chi ne' moderni secoli la creò? Chi gli ha iniettato nel vecchio albero un nuovo succhio di verità e di vita? Il carro col grifone, la Chiesa.

L'Italia ha come cuore del suo corpo sociale Roma; e Roma (1) B. Giovini nel giornale l'Unione, Ottobre 1839. JANNUCCI-Teologia estetica e sociale della Div. Comm:

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o Chiesa romana è l'immortal depositaria della tradizione politica, letteraria e religiosa del mondo. In particolare nell'Europa, tutto l'incivilimento è romano. Perciò siamo costretti a dire coll'Alighieri nello scrivere agli Emi Cardinali d' Italia: << Latiale caput (Roma) cunctis pie est Italis diligendum, tanquam commune suae civilitatis principium (1). » La patria nostra, formosissima delle nazioni, ha tutti i sorrisi, tutte l'eccellenze della natura; tra le nazioni privilegiata, tiene il centro del Cristianesimo, centro della più squisita civiltà: ricca di cotali due qualità, onde tutto folgoreggia, si esplica la sua vita. Ella è la primonata delle nazioni per forza, per armi, per lettere, per sapienza. Ma la primogenitura più bella, il più solenne primato che il Cielo le conferisse, fu di eleggerla per mezzo di Roma a stanza della Cattedra del Pescatore. Dio su quel trono si assise come padre visibile d'Italia; ed ella, passate le notti secolari del paganesimo e degli Dei, si alzò coronata della luce di Gesù Cristo a donna morale dell'universo. L'Alighieri dal bel principio della Divina Commedia rende palese la più grande e la più fulgida gloria d' Italia; egli, discorrendo di Roma e dell'impero romano, prorompe in questa sentenza: << La quale e 'l quale (a voler dir lo vero)

Fur stabiliti per lo loco santo,

U' siede il successor del maggior Piero (2). »

Questo terzetto, divinamente poetico, è goccia che ricorda un oceano, è stilla che ci mena colla memoria ad un abisso. La distruzione di Troia per mezzo di Ulisse, epperò tutta la poesia di Omero; la fondazione di Roma per mezzo di Enea, epperò tutta la poesia di Virgilio vennero dalla Provvidenza divina preordinate a solido fondamento del trono folgorantissimo, in cui doveva sedere il successor del maggior Piero, l' augusto Pontefice sommo. Di qui la grande e la più fulgida gloria d'Italia. Dove mai stan rivolti gli occhi cupidi dell'universo pensieri, gli affetti, le tenerezze? A Roma d'Italia e all'astro di

(1) Epistola Cardinalibus Italicis.

(2) Inferno, II, vv. 22-24. — Si noti quel comma: (a voler Dir lo vero), cioè: a voler parlare con maturità di senno, senza idee preconcette o animo di parte.

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Roma, il cui baleno guizza per tutta la terra, e si moltiplica e si trasforma in raggi vivissimi che corrono ad invadere la vasta superficie del globo. Tutto il mondo sociale muove verso Roma; tutti i popoli dalle sponde estreme dell'Atlantico e del Pacifico, dalle brume gelate dell' Artico e dai caldi dell'Equatare traggono a Roma per guardare in alto alla dilettosa collina vaticana e vedere le sue spalle

< Vestite già de' raggi del pianeta,

Che mena dritto altrui per ogni calle. >>

Secondo il medesimo Alighieri, a quale albero è ligato dal grifone il carro della Chiesa? All'albero, simbolo dell'impero latino, epperò nel centro d'Italia, a Roma. L'Italia dunque segga all'ombra del frondeggiante albero, sempre giovine per l'umore vivifico del carro o della Chiesa. Così dal cielo meridiano dell'Europa che si apre tutto allegrezza e tutto riso, si vedrà molto più splendida e magnifica e gloriosa tremolar la stella latina, il pianeta della bella Ausonia. Il vampo della sua luce brillerà velocemente dall'un capo all'altro di Europa, e, per usare una parola dantesca, vincerà con abbarbagliare l'armonia dell'occhio straniero.

CONFERENZA IX.

La Grazia con i Sacramenti, l'alleanza d'un regno col Re de' re e la vittoria della Croce divina nel campo di Sahati e Dogali.

Il tesoro più prezioso e più nobile che possegga la Chiesa, è senz'alcun dubbio la grazia, quel pane di vita e d'intelligenza, quel nitore della carità divina che per mezzo dello Spirito Santo, a noi donato, si diffonde qual mattutina rugiada ne' nostri cuori, sia per azione immediata di sua virtù santificatrice, sia per azione mediata ne' Sacramenti, quei salutiferi fiumi che tutto irrigano il paradiso terrestre della Chiesa, quella Idroterapia balneare che purifica dalla lebbra purulenta del vizio e dell'errore tuttaquanta l'umana genia.

Uno de' più funesti delirii della pagana filosofia si era quella di credere che l'uomo non ha bisogno alcuno di Dio nè per conoscere la verità nè per praticar la virtù; e che non deve perciò chiedere a Dio alcun soccorso. Di qui la insolente bestemmia degli stoici, che cioè non si devono attribuire in verun modo a Dio le azioni virtuose. Di qui ancora il sarcasma sacrilego degli epicurei che dicevano: Mi dia il Signore le ricchezze e la vita; in quanto alla probità del cuore non ho bisogno di lui, e basto io solo a me medesimo. Quinto Orazio verseggiò cotal sentenza:

<< Det vitam, det opes; animum aequum mi ipse parabo. »

Questo medesimo errore professarono i pelagiani ed altri miscredenti che in cento guise ruppero colle loro tenebre la benefica comunicazione tra il Cielo e la terra. Per siffatto errore non pure guastarono e corruppero il sistema religioso, ma

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