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specialmente da quella povera plebe, onde si vantano amatori, a cui vorrebbero rapire la più efficace consolazione nei travagli della vita, l'unico sollievo nei dolori e nei terrori della morte! Gridano Italia, e quando essa è profanata e calpestata dai forestieri in ciò che ha di più sacro, si aggiungono ai profanatori, e si rendono complici della loro demenza! Un prete francese, non ha gran tempo, rompe la fede giurata solennemente sugli altari, vitupera la Chiesa nel venerando suo capo, maledice la religione d'Italia che, è quella dell' universo, e si trovano Italiani (oh vergogna!) che fanno eco al suo sacrilego furore, e applaudono alle sue bestemmie 1. Questi nuovi Camilli concederebbero a Brenno l'onor del trionfo, e gli aprirebbero, potendo, le porte del Campidoglio. Cito questo esempio, perchè lo scandalo è grande potrei citarne molti; nè parlo ai soli credenti, ma ad ogni sincero amatore della patria. Qui non si tratta solamente di pietà e di religione: si tratta di onore patrio, di decoro e dignità nazionale: si tratta della maestà e della canizie del primo cittadino italiano, venerabile alle stesse nazioni eretiche ed infedeli, conculcata villanamente fra gli applausi dei suoi nazionali e de' suoi figli! Consoliamoci, sperando che queste vergogne siano rare; perchè quando si moltiplicassero, ci renderebbero spregevoli e ridicoli agli occhi dell'universo. Tutti i buoni Italiani si rannodino adunque intorno a quell'insegna che più onora la loro nazione: chi crede come a segno di salute e di speranza; chi non erede, ma non odia la fede (e nessun buono può odiarla) come a bandiera di unità nazionale, come all' unica gloria superstite delle glorie antiche, come al solo oggetto che renda ancora il nostro paese rispettabile a tutto il mondo. L'unità religiosa congiungerà gli animi, l'eccellenza delle dottrine conquisterà le menti docili al vero, ravviverà gl'ingegni e gli studi: un amore e una speranza riunirà insieme tutte le classi dei cittadini. Il sapere e la concordia, accrescendo la civiltà, miglioreranno i costumi, rinfrancheranno e ringiovineranno i cuori, vinceranno il fato della violenza e della sventura; e gl' Italiani, in una età che, non è forse troppo rimota, insegneranno una seconda volta col loro esempio che l' Idea, fondatrice e institutrice dei popoli, può altresì richiamarli a novella vita.

1 Nel parlare così di uno scrittore vivente, non credo di uscir dei limiti prescritti dalla moderazione, dalla decenza e dalla giustizia, trattandosi dello scandalo più insigne che siasi veduto in questo secolo. Dichiaro però che non intendo di fare alcun torto alle qualità private di un uomo, che ne ha molte stimabili; fra le quali, la pietà verso gl' infelici, l'odio dell' oppressione e dell'ingiustizia, e la generosità dell' indole, sono degne di somma lode.

NOTE.

NOTA 1.

I moderni chiamerebbero questa cognizione la scienza del Me, o dell'lo, per esprimere con queste voci, secondo l'uso degli oltramontani, l'unità e la personalltà dell'animo nostro. Io non ricuserei di usare tali fogge di parlare, benchè strane e barbare nella nostra lingua, se fossero opportune; ma confesso che non ne veggo la convenienza, nè la necessità. Questi modi, conformi al genio dell' idioma tedesco, furono introdotti nella filosofia dai psicologisti; i quali, collocando nel pensiero individuale dell' uomo la base assoluta del sapere, è naturale che lo considerino come il dato filosofico più importante, gli assegnino un nome particolare, e lo divinizzino in un certo modo. Ma se nella filosofia moderna l' lo ha le prime parti, ed esercita le funzioni più nobili, queste, secondo gli ontologisti, appartengono all' Essere sovrano; onde nella loro dottrina il neologismo mi pare inutile. Notisi infatti che il nostro sistema è il rovescio di quelli del Fichte, e degli altri filosofi tedeschi che misero in voga tali denominazioni, i quali sono psicologisti per eccellenza. Emanuele Kant in ispecie pone il principio legislativo della cognizione nell' intelletto dell' uomo; il che è un vero ateismo psicologico. Noi lo collochiamo, non già nell' intelletto nostro, ma nell' intelletto divino, cioè nell' Ente intelligente e intelligibile che, come intelligibile, è il mezzo, per cui l'uomo intende, e il soggetto coll' oggetto si raccozza. Il sistema del filosofo tedesco risponde perciò in metafisica a ciò che è in astronomia l'ipotesi tolemaica; laddove quello, di cui ci facciamo rinnovatori, corrisponde alla dottrina copernicana. Nell' uno, il centro dello scibile è l' uomo ; nell'altro, è Dio. Secondo quello, il centro ideale si distingue dal reale; secondo questo, i due centri s' immedesimano insicme, e ne compongono un solo, perfetto e assoluto.

NOTA 2.

Per formarsi una giusta nozione del tempo e dello spazio, bisogna riscontrarli col processo sintetico, per cui la mente umana discende a priori dalla idea schietta dell' Ente fino all' ultimo grado delle esistenze.

Ecco i primi lineamenti di questa sintesi importantissima, che procede per dimostrazione, finchè si aggira fra le verità necessarie, e per opinione o probabilità o conghiettura, quando entra fra le contingenti.

Fra l'idea dell' Ente e quella dell'esistente dee correre un concetto intermedio che varia, secondo che si discende da quel termine a questo, o si sale da questo a quello. Nel corso discensivo, cioè nella sintesi, l'idea intermedia è quella di produzione assoluta, cioè di creazione; nel corso ascensivo, cioè nell' analisi, tramezza il concetto di produzione semplicemente che, disgiunto dall' altro, partorisce l'emanatismo.

L'idea di produzione assoluta o relativa che tracorre fra l'Ente e l'esistente, secondochè si procede calando o salendo, contiene in sè stessa l'idea di tempo e di spazio schietti, i quali sono l'anello psicologico e ontologico delle idee e delle cose, delle verità e dei fatti. Quindi è che la matematica occupa un luogo di mezzo fra la filosofia schietta che è la scienza delle idee, e la fisica che è la scienza dei fatti. Il tempo e lo spazio non sono fatti, poichè non sono per sè stessi sensibili; non sono idee, poichè non sono per sè stessi intelligibili. Ma il tempo e lo spazio possono essere resi sensibili e intelligibili per partecipazione, vestendo una forma sensitiva, come accade nei numeri dell' aritmetico, e nelle figure del geometra, ovvero una forma intellettiva, come succede nelle possibilità di coesistenza e di successione contemplate dal metafisico. Il tempo e lo spazio sono dunque una vera sintesi dei due estremi della formola.

Per ben comprendere questa sintesi, si noti che il tempo e lo spazio si possono considerare ad intra o ad extra, cioè rispetto all'Ente o rispetto all'esistente, e che racchiuggono due elementi diversi ed opposti, secondochè si contemplano nell'uno o nell'altro modo. Ora, per considerarli ad intra, bisogna procedere sinteticamente e a priori, scendendo dall' Ente al tempo e allo spazio; per considerarli ad extra, bisogna procedere analiticamente e a posteriori, salendo ad essi dall' esistente. I due elementi, di cui parliamo, s'accozzano insieme in questo processo, quando lo spirito si accosta all' uno o all' altro dei due estremi della formola; e in tal caso partecipano della natura di essi estremi. Quindi è, che l'elemento ad intra è apodittico, e l'elemento ad extra, contingente. Non bisogna però immaginarsi che tali due elementi possano rappresentarsi alla mente scompagnati l'uno dall'altro; quando il distinguerli è opera di una difficile astrazione. L'elemento apodittico e l'elemento contingente sono fusi insieme e indivisi nell' idea del tempo e dello spazio; e in virtù di questa mescolanza e della unità sintetica che ne risulta, lo spazio e il tempo mèdiano nella formola, e sono condizioni necessarie della produzione relativa o assoluta.

L'elemento apodittico del tempo e dello spazio è il continuo, l' elemento contingente è il discreto. Il primo ci si rappresenta come perfettamente uno ed infinito; esclude ogni moltiplicità e ogni limite. Il secondo ci si appalesa come moltiplice e limitato. Il moltiplice del tempo risulta dai momenti, e partorisce la successione ; il moltiplice dello spazio risulta dai punti, e cagiona la coesistenza. Il continuo ci mostra il tempo e lo spazio nel loro contatto coll' Ente, cioè nella loro maggior vicinanza con esso, e nella maggior distanza dall' esistente : il discreto ce li fa vedere nel loro contratto coll' esistente, vale a dire nel maggiore accostamento verso di esso, e nel maggior discostamento dall' Ente. Oltre il continuo, nel processo ascensivo, occorre solo il possibile, cioè l'Ente stesso. Citra il discreto, nel processo discensivo, non si dà altro che il contingente, cioè l'esistente medesimo. Il possibile e il contingente sono i due estremi di questo processo, che s'immedesimano coi due estremi della formola, e si congiungono insieme nell'unità dell'atto creativo.

La confusione dei due elementi e delle loro appartenenze è la causa di tutte le antinomie razionali intorno al tempo e allo spazio, che dai tempi più antichi fino ai dì nostri furono l'impaccio e la tribolazione dei filosofi, e indussero Emanuele Kant a negare l'obbiettività di quei due concetti. Il criticismo è una spezie di suicidio della scienza, un atto di audace disperazione che aggrava il male, in vece di rimediarvi. Ma le antinomie riguardanti i due concetti matematici non sono reali: esse nascono dalla confusione del continuo col discreto 1. L'infinità, verbigrazia, appartiene al continuo; se tu la trasporti nel discreto, sarai costretto d'immaginare un numero infinito di punti e di momenti, un infinito di infiniti, e simili schemi che, trasferiti fuori del regno astratto e condizionato delle matematiche, e oltre il dominio dell' intelletto subbiettivo, secondo l'uso di chi gli applica agli ordini della realtà e della ragione, diventano assurdi. Ma l'assurdo non è se non dal canto del tuo spirito, che confonde insieme cose disparatissime. Il continuo e il discreto si riuniscono insieme nell'unità dell'atto creativo. Il modo di quest' unione è misterioso, perchè si fonda sulle essenze impenetrabili; ma la realtà di essa risplende di perfetta evidenza. L'unione del continuo e del discreto è la dualità primordiale che, unificandosi nell' atto creativo, è la chiave di tutte le altre dualità, ed è inseparabile da quella dell' Ente e dell' esistente, costituitiva della formola.

La cagione unica di tali antinomie, come di tutti gli errori filosofici, è

1 Le antinomie di Zenone eleatico nascono quasi tutte dalla stessa confusione.

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