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nità ciò che nel silenzio della meditazione aveva contemplato, gittando i germi di quelle verità di cui i secoli posteriori erano destinati a raccogliere i frutti.

Che tale fosse la mente sovrana di Dante Alighieri, e che, quasi in visione trasportato nei mondi dell' umanità passati e ne' futuri, preconizzasse i nostri tempi, ne fanno fede le opere che a noi rimangono, testimonio sacro della maggior gloria italiana, allo studio delle quali s'agita e rinvigorisce questa nazionalità che aprendosi a più rigogliosa vita, è destinata a pesar grandemente sulle sorti della civiltà. Dante', l'amante infelice, il guerriero fortunato, il magistrato integerrimo, l'ambasciatore tradito, l'esule mendico; Dante, il cantore appassionato, il politico audace, il filosofo profondo, il creatore d'una lingua e d'una poesia tutta nuova, è la sintesi d'una intera età; è il profeta nazionale d'un popolo predestinato ad iniziare e compiere l'èra più gloriosa della civiltà europea. Ond'è che a ragione da cinque secoli si vanno studiando con sempre crescente ardore le opere del grande italiano, dalle quali si apprendono le memorie del passato colla csattezza dello storico e colla critica del filosofo, si attingono i principii che istillati nella coscienza popolare segnano la gloria e il vanto de' tempi nostri, e il vaticinio si ritrae di quella grandezza a cui poggeranno un dì i nostri nepoti.

Se non che, a ben intendere Dante è d' uopo conoscere la storia de' suoi tempi, così come a comprendere lo spirito di essi è necessario studiare la vita e le opere dell' Alighieri. Ed è forse perchè concentrata la mente degli studiosi sulla parte più sublime delle sue creazioni, poco curantisi di prendere ad esame egualmente serio, çiò che meno eccitava la loro

ammirazione o meno colpiva la loro immaginativa, non si videro tutti i minuti contorni di quella grande figura che giganteggia in mezzo al turbine di quell' età, ricca al pari di grandi vizii che di grandi virtù. Onde non si seppe definire in tutta la sua pienezza l'animo e la mente di quella grande individualità, alla quale bene spesso taluni applicarono gli errori e le passioni dei tempi in cui vissero.

Dopo quell'epoca dolorosa in cui le lettere italiane erano divenute retaggio di pochi, che non avevano a vile di prostituire alle corti corrotte e corrompitrici, l'ingegno italiano, s' accese più rigoglioso il culto verso il sommo poeta, quando agli svenevoli canti gonfi di arcadiche voluttà, sottentrò in un colla vergogna del venduto ingegno, un sentimento è un affetto nel cuore italiano che richiamò più vivo il pensiero smarrito della patria comune. Allora Dante e il suo sacro volume ridiventarono oggetto di studii e di pazienti vigilie d'ogni più forte intelletto. Si cercò e si spiegò con religioso affetto ogni sentenza, ogni parola del divino Poema ; le chiose succedettero alle chiose, i commenti ai commenti, e nelle Università italiane si istituirono cattedre per isvolgere le arcane bellezze di quell' opera immortale, educando così le giovani generazioni ad ispirarsi a quei nobili ed elevati concetti, a quella fede religiosa, spoglia d'ogni superstizione, a quella pura carità del natio loco, a cui s' informarono tutta la vita e le opere del grande italiano. Eppure tanti studii durati con lungo amore, tante ricerche laboriose e pazienti, tanto culto e tanta ammirazione nutrita verso la più maravigliosa intelligenza, dalle cui operę trasse e trae ispirazioni, insegnamenti ed auspicii la nazione tutta quanta, non ci hanno valso che l' accusa di non averlo com

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preso, e con essa l' anatema del disprezzo forestiero. Dans l'etude des leur poétes les Italiens se sont montrés grands, mais seulement pour les petites choses; ils ont su écrire des traites volumineux sur des faits futiles et secondaires; ils n'ont pu jamais parvenir a se tracer le caractère d' Alighieri en grand et en entier, a comprendre l'homme dans son temps et l'oeuvre dans son merite absolu; et un Balbo lui même ne fuit que tourner dans le cercle vicieux de l'eternelle question si Dante fut Guelphe ou Gibelin. (Giuliano Klaczho Dante et la critique moderne. Revue Contemp. 15 Nov. 1854. p. 392.) - E se il popolo italiano non comprende i suoi poeti, quale sarà che presumerà d' intenderli ? Forse quello che per bocca del suo più grande poeta vivente ha chiamato la Divina Commedia oeuvre aujourd'hui tenebreuse et inesplicable qui resiste comme le Sphinx aux interrogations des erudits? (A. Lamartine. Siécle 14 Dic. 1856) È doloroso subire l'accusa di non elevarci, noi italiani, a raccogliere i grandi pensieri de' nostri sommi, pur da coloro che dichiarano di non intenderne l' inspirato linguaggio (1).

(1) Merita il plauso e la riconoscenza nostra il sig. Marc Monnier per aver portato così retto giudizio di Dante e degli italiani. Dante, egli scrive, est tout pour eux (les italiens) leur patriarche, leur historien, leur philosophe, leur chef intellectuel, et leur prophéte. Ils regardent la Divine Comedie comme un sort de Penteteuque, un livre inspirè, qui dit leurs origines et predit leurs destinées. Dante en quelque sorte, est le Moise de ce grand peuple, qui par son histoire, par sa mission, par ses gloires et par ses malheurs, a quelque chose aussi de l'antique Israel. Ainsi n'aller pas toucher au poëte; vous souléveriez contre vous des ouragans d'imprecation. Lorsque Lamartine osa critiquer la D. C. l'Italie entiére én fremi

Egli è però vero che non siamo ancora giunti a tanto da fondare come già i greci, sullo studio dei poemi d' Omero, la nostra educazione letteraria e civile su questa specie di Pentateuco che è la Divina Commedia; ed è pur vero in pari tempo che ogni grande avvenimento, ogni rivoluzione, ogni scuola, ogni sistema, ha creduto quasi sempre di mostrare la propria legittimità, appoggiandosi ad alcuno de' molti precetti del poeta nazionale, cercando in essi l'ispirazione, e il soffio avvivatore che ha tante volte sollevati gli italiani, a' quali insegnava d'avere una patria che essi cercavano invano nella terra ove nascevano, s'agitavano e morivano. Ed oggi che l'Italia in gran parte redenta tende con magnanimi sacrifizii alla costituzione della propria nazionalità, rivendicando la sua libertà e indipendenza, essa si gloria di attuare il sogno dorato del suo grande poeta, che preconizzò l'Italia futura, quand'era divisa dalle cupidigie d'uomini ambiziosi e crudeli, straziata da discordie intestine, lacerata da guerre fratricide.

Quali si fossero le dottrine religiose e politiche dell'Alighieri ce ne fanno fede piena ed inconcussa la sua vita e le sue opere; se non che vario e spesso con

comme d'un affront nationale, et dans ses rispostes, ella jetà le gant, non pas à Lamartine seulement, mais encore au governement provisoire, à la republique de Février, et, par extension, à la France. Dante est donc le vate, le poëte et le prophete italien. Ses paroles sont des article de foi, ses conseils sont des commendements, ses enigmes, des problemes nationaux; ses mots couverte, des oracle. Aussi tous les parties, les systèmes, les rivolutions, les mouvement de tout sorte et en tout sens qui ont agité l'Italie, ont ils cherchè tour à tour à s'appuyer sur Dante, et a trouver dans l'inspiration du poëte infallible le souffe pouissant qui les a soulevès. (L' Italie est-elle la terre des morts? Paris 1860 p. 182).

tradditorio è il giudizio che ne porgono gli scrittori, eziandio quelli per i quali lo studio di Dante fu il pensiero e il vanto di tutta la loro vita.

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non mai

Federico Schegel biasima la dura impronta dello spirito ghibellino che s' incontra in tutto il poema (Storia della Letter. T. II.); e Tommaséo al contrario afferma che allo spirito guelfo noi dobbiamo l'ingegno di Dante. Guelfo egli nacque, dice l'erudito commentatore, e guelfo crebbe, guelfo combattè, guelfo amò, guelfo governò la republica..... La sua lingua stessa che pur vorrebbe essere ghibellina é guelfa tutta (Comm. alla D. C. Milano 1854 p. 50.) E lo dice più volte ghibellino pretto (ivi p. 18 e 38) -e poco appresso dichiara che le passioni politiche l'avevano trabalzato al ghibellinismo -- (ivi p. 47) dopo d'aver affermato che del buon guelfismo e del ghibellinesimo buono ei raccoglieva insieme i vantaggi; (p. 946) sentenza che egli certo aveva dimenticato allorquando dolendosi del consiglio dato dall' esule infelice ad Arrigo di correr sopra a Firenze, maravigliando esclama: E se tale era il ghibellinesimo in Dante or quale sarà stato in uomini meno retti e meno alti? (pag. 51) Così in un circolo di continue contraddizioni si ravvolge il più grande studioso dei tempi, dell' animo e delle opere dell' Alighieri. Ed è notevole che facendo eco a Cesare Balbo che lo saluta come l'italiano più italiano che sia stato mai (Vita di Dante 1. 1° c. 1°) dicendolo - Italiano uomo nei difetti e nelle virtù se altri mai ( Commento alla D. C. p. 49) non ricordasse di aver poco prima lamentato che le contenzioni tremende che travagliavano l'Italia avessero impedito a Dante

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