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cipio un elemento conservatore dell' indipendenza individuale, avrebbe voluto anzichè centralizzata l'autorità, municipalizzata l'umanità, Ed è notevole che pur quando incuorava gli abitatori d'Italia ad accorrere incontro al felicissimo Arrigo, li consigliava a serbare - come liberi il reggimento; - ammonendoli per siffatto modo a non sacrificare la propria autonomia interna, poichè egli invocava Arrigo come pacificatore d'Italia, non come signore assoluto di essa, ed oppressore delle libertà italiane. Tanto è vero che il ghibellinesimo di lui era diverso da quello professato dal partito imperiale, allo stesso modo che il suo guelfismo non fu mai quello del partito papale! Veggano i nostri uomini politici se il sistema di pieno discentramento, e di ampia libertà de' municipii verso cui ci legano che giova negarlo? - le lunghe tradizioni del passato, le gloriose memorie della patria storia, interessi ed affetti tuttavia vivi e possenti, non fosse per avventura a conciliarsi coll' ordinamento politico unitario del nuovo regno italiano.

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L'impero viene da Dio, ripiglia il filosofo politico, ed è di diritto romano, onde l'Italia è il giardin dell' imperio; e ricorda con viva compiacenza le parole d'Anchise ad Enea romanorum patrem : Tu regere imperio populos, romane, memento (1. II. §. VII.) - E quando il poeta smarrito nella selva sente proporsi il misterioso viaggio per loco eterno, osserva a Virgilo che egli non era destinato a fondare un impero come Enea per ottenere si segnalato privilegio; Tu dici che di Silvio lo parente

Gorruttibile ancora ad immortale Secolo andò, e fu sensibilmente; Però se l'avversaro d'ogni male

Cortese 'i fu pensando l'alto effetto

Ch' uscir dovea di lui e 'l chi e 'l quale, Non pare indegno ad uomo d'intelletto

Ch' ei fu dell' alma Roma e di suo impero

Nell' empireo ciel per padre eletto.

Inf. II. 13-21.

Sposando così in uno le speculazioni del filosofo coll' affetto vivissimo alla patria sua, voleva che l' ItaJia fosse la sede dell'Impero e Roma il centro dell'universo, e poter così menar vanto di essere

cive

Di quella Roma onde Cristo è Romano.

Purg. XXXII.

E non per altro egli scelse a sua guida Virgilio, come osserva il Saint-Renè Taillandier, se non perchè egli è il cantor dell' impero.

Come impertanto il concetto d' un unica e suprema autorità a capo dell' universo civile, giusta il domma pitagorico del Monas, o principio dell'unità ordinatrice e conservatrice dello svolgimento armonico della creazione, non impedisce ma promuove anzi l'esplicarsi d'ogni singola libertà; così questo elevarsi a una idea cosmopolita non distrugge quella di nazionalità, anzi le due idee mirabilmente si conciliano e tra loro si completano. La nazione infatti non è che lo sviluppo naturale di quella prima manifestazione della sociabilità che è la famiglia, come la società non è che la risultante necessaria dello esplicamento di tutte le facoltà umane; d' onde si trae la esistenza di tante distinte personalità quante sono le varie manifestazioni del principio sociale; di qui il distinguersi d'una personalità individuale, d'una famigliare o domestica, d'una municipale e d'una

nazionale le quali tutte si fondono nel cosmopolitismo che è la personalità umanitaria. Niuna di esse però può soverchiare le altre, essendo ogni personalità inviolabile e sacra, per cui neppure quelle di grado eminente come l'umanità, la nazione, non possono distruggere o soppraffare le personalità minori come il comune, la famiglia, l'individuo. Considerato cosi, dall' Alighieri, in questo vasto ed elevato concetto il cosmopolitismo non è la negazione, ma l'armonia perfetta di tutte queste varie personalità. Ed è in forza di questa sublime idea che mentre ammiri in lui uno spirito altamente umanitario, ti è d'uopo riconoscere al tempo stesso che niuno fu più tenero amante della sua patria, più caldo eccitatore della sua pace e prosperità, più geloso custode delle sue passate grandezze. Si direbbe quasi che nel suo immenso entusiasmo, nella sua cieca ammirazione pel sacro romano impero egli intendesse italianizzare l'universo, o meglio, giusta il consiglio di S. Bernardo, cangiar Roma nel mondo Urbem pro Orbem mutare.

Vegga il signor Wegele se questa è tempra germanica, come egli osa affermare, o se nella sublime elevatezza delle concezioni, nel rapimento dell' animo che freme di patrio amore, non gli si riveli chiaramente la potenza e lucidità del genio e la fortissima tempra dell' animo italiano.

Il concetto d'una unità politica universale importa necessariamente la soppressione della potestà temporale del Papa. E però l'Alighieri si fa a considerare la pretesa donazione di Costantino (1), ne dimostra

(1) È noto che coloro che donarono alla Chiesa furono Pipino, Carlo Magno e la contessa Matilde.

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la inefficacia, non potendo l'impero scindere sè stessą per cadere sotto la giurisdizione di altri, chè siffatta autorità l'imperatore non ricevette nè acquistó maj. É poi priva di alcuna validità perché la Chiesa non poteva accettare il dono: - Ecclesia, egli dice, indisposita erat ad temporalia recipienda per pracceptum prohibitivum expressum ut habemus per Mattheum sic: Nolite possidere aurum, nequc argentum, neque pecuniam in zonis vestris, non peram in via ec. (1. III. § X.): E ripetendo nella Monarchia la sublime esclamazione della Divina Commedia:

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre

Non la tua conversion, ma quella dote Che da te prese il primo ricco patre! Inf. XIX. scrive: O felicem populum, o Ausoniae te gloriosam, si vel numquam infirmator ille imperii tui -natus fuisset, vel numquam sua pia intentio ipsum -fefelisset (1. II. §. XI. ).

Fin d'allora l'infausta unione dei due poteri civile ed ecclesiastico era tenuta come una sventura italiana e come un grave danno agli interessi veri della Religione di Cristo. Ed oggi ancora in pieno, dicianovesimo secolo il governo papale rappresenta tutti i pregiudizii del medio evo e la negazione di que' principii, il cui trionfo segna la grandezza dell'odierna civiltà, la quale protesta in nome della libertà dei popoli e della santità della Religione, contro la civile potestà dei papi. Ne conforta tuttavia il pensiero che compirassi anche in questa parte, e ne affrettiamo l'ora coi voti, la profezia dell' Alighieri ą salute della Chiesa, a gloria dell' Italia

Vaticano e l'altre parti elette
Di Roma, che son state cimitero

Alla milizia che Pietro seguette,
Tosto libere fian dell' adultero.

Par. IX.

Distinta e separata la potestà civile e religiosa, stabilisce l'Alighieri le relazioni tra lo Stato e la Chiesa : se non che, noi educati oggi alla ormai celebre formola libera Chiesa in libero Stato che alcuni riconoscono come l'inizio e il fondamento delle libertà civili e religiose dell'età nostra, ed altri traducono in una risurrezione del medio evo nel bel mezzo d' Italia, non troveremo rispondere alle nuove idee i principii affermati a tale proposito; e taluno forse si sentirebbe inclinato a condannarli, sebbene per avventura il concetto del Poeta sia, a quanto ne crediamo, d'una pratica applicazione a cui difficilmente potrà rispondere quello del grande Statista Italiano. Che se i rapporti tra la Chiesa e lo Stato nel Belgio, la condizione fatta alla comunione cattolica nell' Olanda, quella pure del cattolicesimo in Inghilterra e nell' America del Nord sembrano accennare a una possibile effettuazione di quella formola, noi però temiamo fortemente possa avere presso di noi, almeno in oggi, una piena applicacazione. Non vorremmo che al principio e al sentimento religioso sottentrasse quello scetticismo che è la morte dell'anima, laddove lo Stato, che pure rappresenta gl' interessi tutti della società, facesse completo divorzio dalla suprema autorità spirituale, come se esso, lo Stato, fosse la emanazione d'un aggregato d'esseri senza fede, senza religione, senza culto; come se dalla vivacità e fermezza del sentimento religioso, non scaturisse quella publica moralità e quella

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