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essendo di sua natura andativo, e versando in un moto, per cui l'inizio si unisce coll' esito del progresso ciclico, è un'azione successiva e passeggera, dove che il principio ed il fine formano insieme un composto estemporaneo. Negli ordini, che si chiamano materiali, il composto è l'organizzazione, e nei misti, il sociale consorzio, o vogliam dire la civiltà: l'azion del primo è la vita, dell' altro il progresso o perfezionamento. D'altra parte, il primo ciclo è genesiaco, e il secondo palingenesiaco. Ma i cicli generativi si accompagnano in effetto e coesistono ai cicli creativi, da cui dipendono, giacchè l'esplicazione delle forze, cioè delle cagioni seconde, procede dall' azion creatrice e immanente della Causa prima.

Il ciclo generativo, considerato universalmente, si attua in tre modi diversi, e partorisce tre sintesi disformi, in ciascuna delle quali gli estremi si raccozzano, atteso il nesso e la comunicazione del membro interposto. Ogni sintesi abbraccia una dualità armonizzata dall' unità mediatrice; quali sono la sostanza e i modi, la forza e i fenomeni, (o vogliam dire, men propriamente, la causa e gli effetti,) il centro e la circonferenza. Le due prime occorrono in ogni esistenza individuale, e la terza nei vari complessi o aggregati d'individui, dai menomi sino ai massimi e a tutta quanta l'universalità delle cose. Le voci di circonferenza e di centro, discorrendo generalmente, hanno un valore semplicemente metaforico, ed esprimono il vincolo dell' uno col moltiplice nelle varie organazioni miste o corporee; e cosi voglionsi intendere, quando altri dice, verbigrazia, che l'anima è il centro dell' uomo, il cervello de' nervi, il cuore delle vene e delle arterie, il padre della famiglia, il sovrano dello stato, e via discorrendo. Ma nei composti prettamente

corporei, l'organismo piglia sempre una forma più o meno circolare, che sembra farsi vie meglio precisa ed esatta, a mano a mano che si ristringe l'intensità o la squisitezza della vita, e si allarga la sfera delle esistenze, finchè diviene armonicamente perfetta nelle ellissi astronomiche. Quindi è, che la forza espansiva e concentrativa, propria di tutte le aggregazioni organiche, diventa centrifuga e centripeta nel sistema generale degli astri, e rappresenta in tutti i casi l'opposto indirizzo dei due cicli generativi, onde risulta l'armonia del tutto. Nè a ciò ripugnano in modo alcuno le osservazioni della scienza moderna, allegate dai fautori dell' epigenesi organica, come avrò occasione di mostrare altrove. La monadologia del Leibniz, benchè qual si trova ne' suoi libri sparsamente accennata, anzichè esposta e dichiarata, sia un semplice schizzo, è tuttavia radicalmente il miglior lavoro, che si possegga in questa parte delle inchieste cosmologiche. E veramente la monade leibniziana è una forza sostanziale, che successivamente esplicandosi, dà origine alle due prime sintesi, cui la terza si aggiunge, quando una forza principale e regolatrice divien centro di un aggregato. L'esplicazione della monade corrisponde al primo ciclo; ma se alla Monadologia si congiunge l' Ottimismo del gran filosofo tedesco, e per qualche parte la Palingenesia di Carlo Bonnet (8), che seco s' intreccia, si ha il secondo ciclo, cosi rispetto alla generazione, come in ordine alla creazione. Questi abbozzi cosmologici, (tuttochè imperfettissimi, intarsiati d'ipotesi, e inferiori per alcun verso ai saggi medesimi degli antichi,) e alcuni cenni brevi, ma sugosi e magistrali del Vico, hanno il pregio assai raro di non mutilare la scienza, secondo l'uso dei sensisti, e di non alterarla colle favole del panteismo (9).

Gravissima quistione di cosmologia è quella, che riguarda l'ordine dell' universo. I due cicli generativi non bastano a somministrarci l'idea dell'ordine cosmico, che è l'indirizzo dell'esistenza universale ad un fine ultimo; giacchè essi ci rivelano delle mire relative e secondarie, non un fine assoluto e supremo. D'altra parte, la notizia dei fini relativi e secondarii presuppone quella di un intento supremo e assoluto; imperocchè, come tutti gl' intelligibili relativi derivano dall'intelligibile assoluto, l'idea di uno scopo contingente e limitato proviene da quella di un termine necessario e infinito. Vedesi pertanto che la stessa notizia dell' ordine emergente dai due cicli generativi non si può avere, se non si conosce il fine assoluto. La sola cosa, che ci venga insegnata dalla esperienza, è una certa uniformità nelle esistenze, e la successione costante dei fenomeni mondani. Ora la finalità non si contiene meglio della causalità nella successione dei fatti sensitivi; e gli argomenti di Davide Hume contro la causa efficiente militano del pari contro la causa finale. L'esperienza ci fa vedere uno o più fenomeni succedenti ad altri fenomeni, e nulla più. Ora, siccome l'Hume ne conchiude ragionevolmente, che stando nei limiti della esperienza, non si può affermare che il secondo fenomeno sia causato dal primo, e così via via successivamente, non si può tampoco asserire che il primo fenomeno sia indirizzato all' ultimo, come a suo fine. Per ispiegare e legittimare il principio teleologico, come quello di causa, egli è d'uopo perciò ricorrere agl' intelligibili, e accozzarli colle impressioni sensitive. Nel principio di causalità l'idea di cagione si connette col fatto sensibile d'incominciamento: così pure nel principio di finalità, l'idea di fine, si accoppia col fatto sensibile della costanza e del progresso graduato nella succes

sione. Il concetto sensibile d'incominciamento, congiunto all' idea razionale di causa, porge la nozione di principio attivo, producente, e di produzione: il concetto sensibile di successione regolare e progressiva, accompagnato da quello di fine, suscita l'idea di principio intelligente, ordinante, e di ordine. Dunque l'idea di ordine non ingenera quella di fine, ma si bene l'idea di fine partorisce quella di ordine e le dà un valore obbiettivo. Noi potremmo vedere e contemplare eternamente l'armonia universale, senza conoscerla, come armonia, e senza cavarne l'idea di un ordine effettivo, se il concetto di fine, e il principio teleologico non ci fossero somministrati dalla ragione (10).

L'idea di fine deriva da quella dell' Ente creatore. L'Ente si mostra attivo e pensante nell'azione creatrice : come attivo, è Causa efficiente e tira gli esseri finiti dal nulla; come pensante, è Causa finale, e le proprie fatture a uno scopo ultimo indirizza. Il primo concetto, che ci facciamo dell' intelligenza divina, non ispunta già in noi per via di un processo a posteriori, che raffiguri la mente infinita a similitudine della nostra; giacchè un tal processo, non preceduto da altro discorso, ci condurrebbe diritto all'antropomorfismo1. Noi lo acquistiamo bensì a priori, colla considerazione dell' Ente stesso, il quale ci si manifesta, come essenzialmente e assolutamente intelligibile; e quindi come intelligente; giacchè l'intelligibilità assoluta dee penetrare sè stessa, ed essere intelligenza assoluta e infinita. Ma questo concetto dell' intelligenza divina nascendo per isbieco dall' intelligibile, che ci è noto direttamente, perchè s' immedesima coll' idea dell' Ente, è sol

1 Consid. sop. le dott. relig, di V. Cousin, cap. 5.

tanto generico e imperfettissimo. Nel sèguito poi, quando meditiamo sulla nostra propria mente, e sulla connessione di essa colla finalità delle nostre operazioni, trasferiamo questa dote nell' Ente, ma per modo solamente analogico; il qual temperamento è motivato e determinato dalla cognizione anticipata dell' Ente stesso, come assolutamente intelligente e intelligibile. Vedesi adunque che la prima nozione di fine non ci è già data dalla riflessione psicologica, ma bensì dal concetto dell' Ente intelligibile e intelligente, creante ed estrinsecante colla creazione le idee eterne in lui stesso racchiuse. Quindi nasce l'idea generale di ordine, che vien da noi applicata alle mondiali esistenze, perchè il concetto di fine ci fu già suggerito dall' atto creativo.

Egli è adunque il ciclo creativo, che ci mette in grado di conoscere il fine assoluto, e quindi anche i fini relativi, e l'ordine secondario dei fini generativi. Noi veggiamo l'armonia del ciclo generativo, in quanto questo si contiene nel ciclo creativo veggiamo l'ordine dell' esistente, in quanto si contiene nell' Ente. Perciò, invece di affermare, come suolsi comunemente, che l'ordine è nel mondo, è più esatto e più rigoroso il dire, che il mondo è nell'ordine, cioè nell' Ente, da cui procede, per via di creazione, e in cui sussiste continuamente, atteso la presenzialità, l'immanenza e l'assidua efficacia della virtù creatrice. L'intuito dell'ordine è l'intuito di Dio stesso; tanto che nella cognizion primitiva noi non apprendiamo che Iddio è, perchè l'universo è ordinato, ma all' incontro veggiamo che l'universo è ordinato, perchè viene da Dio, perchè Iddio è. In questo caso, non è già la statua, che provi l'esistenza e la maestria dello scul

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