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L'amicizia è nell'amare come nel sentimento di essere amato, e l'uno dei due moti dell'animo pareggia l'altro, coesistendo l'uno per l'altro. Il non sentirsi amato da chi si ama fa svanire nel vuoto dell'anima il senso dell'amicizia. E l'amico si ama e si vuole amato e felice per sè, ma anche per noi, perchè viviamo per lui come per noi stessi. Se questo può dirsi egoismo, devono dirsi egoistici ogni sentimento e ogni volontà che intendano a prevenire e a riparare i dolori altrui; egoistica deve dirsi la volontà personale quando segue fini che trascendono il proprio io; egoistico il sacrificio. L'espansione altruistica dell'io è tanto un bisogno naturale, quanto è vivo il bisogno dell'amicizia; e se dovessimo concepire come egoistica l'amicizia, dovremmo infine considerare come egoistico lo stesso altruismo.

L'amico è da ricercarsi per sè. Kat' aúτòv aípetov píλos (Arist. Ret. lib. 1o, cap. VI, 76). Ciò è quanto dire che egli ha in sè il valore che merita il nostro affetto altruistico, e che noi sentiamo in noi stessi. Il sentimento dell'amicizia è il sentimento di un valore comune che noi però facciamo sussistere anche per sè, come degnità di vita, come oggetto di ammirazione a cui vorremmo si rivolgesse anche l'anima altrui. L'amicizia è, quasi direi, un apostolato: è la vita d'un'idealità, che anche impersonalmente considerata, eccita il sentimento, l'azione, la predicazione. Noi vediamo rappresentata questa idealità nella persona dell'amico, incarnata in lei e da lei realmente vissuta; a questo titolo affidiamo la legittimità del nostra amicizia; e in ciò si riconosce dell'amicizia il carattere altruistico e morale.

Amiamo colui che è degno della nostra stima, e sentendoci amati, ci sentiamo stimati: in ultima analisi, notava l'Emerson, l'amicizia non è che il ri

flesso della degnità personale d'un uomo sopra altri uomini (1. c.). Ma che è la stima se non il riconoscimento di un valore morale? Non sono amicizie vere quelle che legano i malvagi. La malvagità è titolo di diffidenza per chiunque, e non può aversi nell'amico malvagio quella << sicurezza della vita » in cui Epicuro riponeva l'essenza stessa dell'amicizia. L'amicizia vera non è propria degli spiriti moralmente mediocri o malvagi. « Il y a un goût dans la pure amitié où ne peuvent atteindre ceux qui sont nés médiocres » (La Bruyère Les caractères chap. IV). E infatti l'amicizia pura è desiderio e volontà del bene; è devozione a ideali comuni, nel pensiero e nel proseguimento dei quali gl'individui si esaltano reciprocamente; è lealtà e perciò anche nobiltà di sentire; è stima scambievole che non può sussistere veramente quando nel presunto amico si riconosca la capacità del malfare; è disinteresse, che esclude la volontà del male, in cui si seguono stimoli egoistici; è elevazione dello spirito, della quale non può dirsi capace un'anima mediocre.

Le amicizie, notava Aristotele (Etica, lib. VIII), sono occasione a spiegare la beneficenza, mezzi a conservare la grandezza, rifugio nella povertà e nelle sventure, consiglio ai giovani, assistenza ai vecchi, al fior dell'età incremento di senno e di forza: onde se non è virtù essa stessa, certamente s'accompagna a virtù, ed è necessaria alla vita. Ma è vera amicizia solo allora che si stringe fra i buoni, e non ha quindi per motivo solo l'utile o il piacere. Nè può dirsi che ami la persona in sè stessa (all'infuori dell'utile o del piacere) se non chi è amico per la virtù. Le amicizie che sul piacere o sull'utile si reggono, facilmente si rompono, perchè il piacere o l'utile può mutare e venir meno. L'amicizia fondata sulla virtù

è la sola duratura e perfetta, poichè solo allora gli amici sono buoni per sè stessi, e quindi si amano per sè stessi d'un'amicizia non occasionale. Le amicizie per l'interesse o per il piacere si possono stringere anche tra uomini dappoco, o tra buoni e cattivi; ma per sè stessi sono veramente amici soltanto i buoni. Come dire dunque amicizia quella che nell'amico vede uno strumento di utile o di piacere? Qui non v'è intuizione schietta di anime, non trasfusione di sentimento, non unità di persone; qui non v'è dunque amicizia vera, ma finzione o simulazione di amicizia.

Se tale è pertanto il sentimento dell'amicizia, che per esso l'anima individuale si ricrea altruisticamente e moralmente, riproducendosi e rigenerandosi in quella stessa coscienza dell'altro che alla sua volta in sè stessa trasfonde, è naturale concepirla come una delle forme più alte di vita morale a cui l'educazione pubblica e privata deve mirare. Spiritualizzare i rapporti sociali riducendo gli antagonismi egoistici, è fine immediato: fine ulteriore, ma implicito, è creare il bisogno dell'amicizia, segnalando nelle idealità superiori i vincoli supremi delle anime, e intensificando la tendenza umana a concepire un tipo di bontà amabile, e a ricercarlo attuato, vivificato. Educare il senso dell'amicizia è educare il senso del bene, della spirituale voluttà del sacrificio; è lenire, per la solidarietà fraterna delle anime, il dolore umano, riparando all'insufficienza dell' Io.

§ 4.

Le idealità sociali antiegoistiche devono informare la condotta, come entità amabili per sè e vendicatrici del giusto e dell'onesto. « Dimmi tu che ti allegri di aver trovato qualche difetto in colui che ti riprendeva, posto che sia come dici, non ti accorgi tu che non egli, ma la verità è quella che t'ha ripreso, per bocca di un tristo e difettoso?... Ti ha ripreso la verità; ad essa, se pensi, rinfaccia i peccati tuoi; quella è la nemica tua, nella quale non puoi trovar cosa da biasimare; quella cerca di farti amica se tu puoi (S. Agostino).

La socialità dell'uomo giustifica parimenti, nell'amore sociale, con la scelta degli amici, l'allontanamento dei malvagi; nel desiderio del bene, la riparazione del male; nell'esaltamento del virtuoso, il biasimo del reo.

Ama l'altro come se fosse tu stesso: ma se l'altro è dichiarato nemico del bene, il comando indifferenziato o assoluto dell'amore vien meno, mancando a questo la condizione della fondamentale analogia delle anime. Il differenziamento nell'amore è il corollario della sua stessa sincerità. Non si può amare egualmente, essendo buoni, il buono e il malvagio, perchè l'amore verso il buono sussiste ed è reso possibile soltanto per l'idealità e il sentimento del bene che a lui ci accomuna. È deprezzare i valori etici il proporsi l'indifferenziamento dell'amore, che equivarrebbe all' indifferenziamento (ossia all'annullamento) dei giudizî di stima, e alla soppressione d'ogni risentimento del male.

Tolstoi insegna: Non fare giudizî e processi per

chè ogni uomo è pieno di difetti e non ha il diritto di rimproverare gli altri; e con questa massima egli riproduce quella evangelica del « non giudicare ». Ma si consideri che la comunanza dei difetti non implica il consenso morale nel bene, che è condizione psicologicamente necessaria della sincerità dell'amore; e che, venendo meno, per l'astensione dal giudizio, il freno ai malvagi e lo stimolo ai buoni, si contravviene allo stesso carattere imperativo e sovrano dell'ideale etico. Si contravviene a questo carattere pure nella propria coscienza, ossia si nega in sè il fatto del risentimento, che n'è il riflesso psicologico, e si arresta ipocritamente la tendenza a giudicare conformemente ad esso, ossia si vieta la sincerità dei giudizî, e, in ultima analisi, si pone ostacolo all'onestà dell'opinione pubblica, che risulta infatti dai sinceri giudizî e dagli onesti risentimenti dei singoli.

Osservava A. Smith che noi disprezziamo una persona che non provi risentimento, e deploriamo la indifferenza, e che illuminati scrittori non avrebbero parlato dell'ira di Dio se avessero considerato questa passione in ogni suo grado come viziosa e cattiva anche in una creatura così debole e imperfetta qual'è l'uomo. Nel risentimento nostro è la natura stessa che compie i suoi fini (1). In altri termini può dirsi che è così naturale all'uomo il risentimento e il giudizio di biasimo, come il sentimento dell'ammira · zione e la lode; e che questa è una forma psicologicamente incoercibile in cui si manifesta nell' individuo il senso della moralità; e che infine se il pericolo e le difficoltà di valutare gli atti e i sentimenti individuali devono consigliare e persuadere un prudente riserbo, d'altro canto il dovere di cooperare alla con

(1) The theory of moral sentiment, vol. 1°, parte II, sez. 1a, cap. V.

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