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il bene come elemento di elevazione, o il dovere e la responsabilità come strumenti di dominio della ragione e di sentimenti superiori sulla passione e sull'istinto, è esaltare sè stesso, compiacersi di sè, inorgoglire del proprio valore. Si ha dunque nell'orgoglio morale un dato di fatto, sperimentale, scientificamente certo, di cui l'Etica pedagogica, in quanto mira a idealizzare la vita e la personalità, accordandosi con la scienza, o con la ragione teorica, obbiettiva, deve razionalmente usufruire. E occorre ben comprendere l'orgoglio di cui discorriamo.

Proclamare — scrivevo l'orgoglio una virtù (se è distinto dalla vanità) è atto di sincerità. Le stesse dottrine morali pongono implicitamente l'orgoglio come virtù, prescrivendo all'uomo il dovere, il rispetto alla propria dignità, il perfezionamento, e giustificando il diritto. Questo orgoglio, di cui parliamo, è virtù, perchè è degnità, sforzo interno, iniziativa personale, fede nella prova, coraggio nel contrasto, ardimento nella lotta. Non è l'orgoglio fatuo delle teste vuote e dei cuori aridi, ma l'orgoglio di chi, stimando sè stesso, vuol trarre da sè, dal suo pensiero, dalle opere sue una conferma razionale del proprio valore. È l'orgoglio di chi, nessun limite

riconoscendo come assoluto all'accrescimento del suo spirito, tende a superare il limite attuale per il sentimento ch'egli ha della sua inesauribile energia spirituale, che, arrestandosi a un limite fisso, impoverirebbe. È l'orgoglio moderno che, soppiantando la falsa umiltà, degradatrice dell'uomo, ne svolge senza posa il potere intellettuale e morale. È l'orgoglio dei forti, che nelle offese alla morale e al diritto vedono non una lesione a una mentalità astratta, ma alla stessa realtà e degnità personale, in cui la morale e il diritto, come idealità supreme, s' in

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carnano e vivono (1) ». << La stessa virtù, in ultima analisi, non si può esaltare come qualità astratta senza ridurre la moralità a declamazione e a pura finzione il suo esaltamento, se razionale, suppone l'esaltamento della personalità morale, delle prove e riprove che l'individuo dà del suo proprio valore; suppone l'orgoglio e la provocazione dell'orgoglio (pag. 235). << Soltanto l'uomo orgoglioso può temere il male perchè riferendolo egli a sè stesso, sente sminuito da esso il proprio valore. I mali altrui ci colpiscono perchè diventano mali nostri: se nostri non diventassero, noi non li sentiremmo, e rimarremmo indifferenti tanto nell'azione quanto nel pensiero (pag. 250).

È orgoglio morale anche il sentimento e la volontà di superare quelle battaglie che nell'anima si combattono tra i motivi sensibili e quelli intellettuali, tra la scienza nuova e la tradizione, tra l'ideale personale e l'ideale obbiettivo, assoluto, tra il desiderio di godere e la necessità etica di soffrire. Orgoglio morale è stimare accresciuto il proprio valore dallo sforzo e dal sacrificio anche se questo non fosse compensato, e da noi o da altri non si dovesse raccogliere altro frutto che non fosse il sentimento di valere e l'esempio di morale fortezza, che nella vita comune non è mai un'unità trascurabile, essendo già per sè conforto ai dolenti e stimolo ai dubitosi. L'ideale etico assoluto non ci possederà mai pienamente, e lo sforzo e il dolore ci appariranno sempre legge di vita morale; ma vi è, ed è morale, anche l'orgoglio dello sforzo, come v'è quello della vittoria, perchè è acquisto nuovo, incremento spirituale, anche l'aver tentato, l'aver voluto. L'ozio morale avvilisce non

(1) Il dominio dello spirito, pag. 209.

meno e più che l'ozio fisico. E non è soltanto orgoglio di sè, ma anche dell'umanità che è in noi e fuori di noi, soggetto e oggetto della moralità: è desiderio di elevare sè stesso elevando altri, moralizzando, soccorrendo, rispettando.

Se dovessimo ora ricercare le varie applicazioni di cui la nostra massima, e in generale la nostra concezione del fatto morale, è pedagogicamente suscettibile, dovremmo procedere a una minuta analisi di tutta la vita etica, e classificate le virtù singole, alla conservazione o all'incremento delle quali l'umanità tacitamente collabora nonostante il conflitto che pur si manifesta in più modi nel campo morale, dovremmo poi additare la cultura prammatistica di ciascuna, in quanto esprime un ideale socialmente assoluto a cui l'individuo deve conformare sè stesso. Ci limiteremo a delineare soltanto alcune specie di applicazioni del nostro concetto fondamentale prammatistico, e sopratutto ci proponiamo di giustificare quei principi e d'indicare quelle norme di pedagogia sociale che penetrando il fatto morale possono sinceramente e più manifestamente contribuire all'incremento etico e alla degnità della vita.

CAP. II.

Norme conseguenti di Pedagogia sociale

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§ 2. Forme e

§ 1. La trascendenza dei termini individuo e società. applicazioni della nostra massima prammatistica. § 3. L'amicizia. - § 4. Il risentimento e il giudizio soeiate. — § 5. Il suicidio, e la deguità della vita.

§ 1.

Alla volontà eternamente libera (che è nel fondo dell'universo, come cosa in sè, come sforzo cieco e universale) nessuna legge, nessun dovere, scriveva lo Schopenhauer, io posso prescrivere. Ma chi può ridire a sè stesso la formula indiana Tat twam asi

Tu sei costui, conoscendo chiaramente ciò ch'egli dice, e con ferma convinzione, in faccia a chiunque abbia con lui rapporto, costui è sicuro di possedere ogni virtù, e nobiltà d'animo; egli è sulla via diritta che conduce alla liberazione dall'egoismo. (Op. cit., lib. IV, § 66). In questo riconoscimento è per certo un coefficiente di moralizzazione, traducendo esso, nel rispetto ideologico, un motivo essenzialmente umano. Come riconoscimento, o atto intellettuale, esso non forza la natura intima umana, ma la seconda e completa.

Tra l'infelice cui la sciagura prostra nell'impotenza, e colui che a quella sciagura soccorre spiegando le industrie del conforto, non è infatti un terzo termine che concilii un'antitesi, non una convenzione che ripari a una naturale indifferenza o allo studiato oblio; ma sussiste un vincolo che è umano, un'armonia naturalmente morale; sussiste la natura stessa che nella spiritualità del conforto unifica divinamente le due anime.

Umano, o naturale, è nell'uomo l'altruismo. È naturale quanto la simpatia di cui è l'inizio, e che secondo le osservazioni fatte della psiche infantile, per es. dal Darwin, dal Preyer, dal Perez, dal Baldwin, si manifesta nell'uomo ben presto. L'educazione e la vita sociale ulteriore hanno nelle disposizioni naturali, da un lato un ostacolo da superare, in quanto è naturale anche l'egoismo; ma d'altro lato hanno ivi un germe da svolgere, perchè in esse si comprende la naturalità dell'altruismo (1).

L'uomo, secondo lo Schopenhauer, è tanto egoista che se dovesse, per ipotesi, scegliere fra sè e il mondo, distruggerebbe quest'ultimo pur di conservare sè stesso: ciò equivarrebbe a dire che l'individuazione nel mondo è sentita come assoluta. All'incontro l'individuo sente in sè stesso anche i vincoli naturali e sociali, e svolge la sua attività non solo egoisticamente, ma anche altruisticamente, come dimostrano i varî atti che informano comunemente la sua esistenza, dall'allevamento della prole alle infinite maniere di cooperazione sociale di cui egli è attivo elemento. Certamente l'io è il centro della vita psichica, com'è centro della rappresentazione del mondo e soggetto della condotta; ma se lo con

(1) Cfr. ARDIGO La Morale dei Positivisti, lib. II, parte I.

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