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risultante sia veramente organico, e trattandosi come obbiettivamente logico, mentre la logica è in esso sacrificata al preconcetto e all'artificio.

È assai difficile che dibattendoci fra le antinomie filosofiche si eviti lo scoglio della contradizione, e che al sistema si giunga senza finzioni: ma è evidente che il successo in questo ordine di fini, in cui si svolge il pensiero teoretico esplicativo, dipende essenzialmente dal metodo, e che è pertanto più esposto a simili fallacie l'eclettismo.

Il pensiero tenta le vane conciliazioni specialmente nelle epoche di crisi intellettuale e morale, o nelle anime timide, e in quelle trascinate per virtù di educazione e d'ambiente da forze contrarie, e tuttavia indotte, per temperamento naturale, a ricercare fra termini antagonistici una soluzione razionale.

Lo stesso linguaggio filosofico, meno mutevole delle idee che riveste, nasconde spesso, nel contrasto delle teorie, l'equivoco, facendosene esso stesso strumento. Bacone ad es. di cui è noto l'ardito spirito positivo, attribuiva alla scienza il còmpito di scoprire le « forme », che egli concepiva in maniera ibrida, quasi intermediarie fra le leggi della fisica moderna e le

o per il compimento di predizioni basate su essi, ci sia possibile acquistare la certezza che rappresentano delle realtà; ma quando le nostre concezioni simboliche sono di tale natura che le operazioni dello spirito accumulate o indirette non possano metterci in grado di constatare che esse corrispondono ai fatti aventi un'esistenza reale, e che non si possano fare predizioni il cui compimento fornisca la medesima prova, allora esse sono radicalmente viziose e illusorie, e non si può in alcun modo distinguerle dalle pure finzioni.

È dunque l'analisi dei concetti che ne può determinare il valore obbiettivo, e distinguere l'ufficio simbolico che può esser proprio d'una rappresentazione (vedi circa i simboli rappresentativi e ricostruttori il mio volume sopra citato) dalla falsità logica che lo SPENCER definisce come finzione.

<< forme sostanziali » della fisica aristotelica; e Cartesio pur volendo rompere ogni accordo con la Scolastica, ne mantenne la terminologia, come in parte, la dottrina.

La pretesa della logicità supera spesso di gran lunga (e lo vedremo in seguito più largamente) la reale coerenza logica; o se ci fingiamo logici teoreticamente, la logica dell'azione può smentire quella del pensiero, dimostrando ch'è una finzione il credere alla sua sincerità assoluta. E infatti, mentre si respingono, poniamo, come illogici déterminati pregiudizî, per es. quello nobiliare, poi si agisce come se il pensiero vi aderisse approvando il principio logico che li informa; l'abitudine, la suggestione, la pigrizia mentale, concorrono a creare l'equivoco, ma non sappiamo rendercene chiaramente ragione. Quando poi alla ragione rigorosamente logica si aderisca, poniamo, con il rispetto e l'amore verso determinati ideali, è sempre sincero il riferimento che facciamo di essi alla ragione? È sempre nella ragione pura, disinteressata, la sorgente vera e unica della scelta degli ideali e della perseveranza nel coltivarli? O invece non è più conforme alla realtà il sospettare che essi siano talora giudicati non già con un criterio obbiettivo e razionale, ma piuttosto a seconda di speciali impulsi affettivi e di oscure tendenze, analogamente a ciò che accade nell'artista quando compone nella mente l'opera sua? La suggestione del tipo ideale opera in noi incessantemente, e diventa avviamento alla trasfigurazione di noi stessi. Amiamo l'uomo ideale, generoso, altruista, prudente, e in esso amiamo noi stessi perchè esageriamo in noi, nel giudicarci, e idealizziamo il senso della nostra generosità, del nostro altruismo, della nostra prudenza. L'immaginazione che ci fa migliori, o che in varii

modi ci trasporta all'infuori del reale, ha comunque o può avere una funzione rigeneratrice, morale, e attenuatrice delle pene dell'anima.

G. I. Rousseau narra di sè che mentre si sentiva smarrito ne' suoi affetti, non trovando nulla che potesse soddisfarli, si allietava nei fantasmi del pensiero, suscitati da lui, per suo volere, conformi ai suoi desiderî di godimento. «Dans cette étrange situation riportiamo le sue parole - mon inquiete imagination prit un parti qui me sauva de moi-même et calma ma naissante sensualité: ce fut de se nourrir des situations qui m'avoient intéressé dans mes lectures, de les rappeler, de les varier, de les combiner, de me les approprier tellement que je devinsse un des personnages que j'imaginois, que je me visse toujours dans les positions les plus agréables selon mon goût, enfin que l'état fictif où je venois à bout de me mettre, me fît oublier mon état réel, dont j'étois si mécontent. Cet amour des obiets imaginaires et cette facilité de m'en occuper acheverent de me dégoûter de tout ce qui m'entouroit, et déterminerent ce goût pour la solitude, qui m'est toujours resté depuis ce temps-là ». E questa disposizione così misantropa e cupa in apparenza, egli l'attribuiva a « un coeur trop affectueux, trop aimant, trop tendre, qui. faute d'en trouver d'existants qui lui ressemblent, est forcé de s'alimenter de fictions (1) ». Quanto benefico riuscirebbe allo spirito umano questo potere astrarsi dal reale, fingendosi nel pensiero un mondo diverso del presente, e in esso vivendo con i proprî affetti, che il mondo reale continuamente provoca bensì, ma sovente quasi per eluderne la fede che

(1) Confessions, vol. 1, lib. I.

li esalta! Quanto ristoro avrebbero gli affanni dell'anima se si potesse sostituire ingenuamente alle coscienti tristezze della realtà vera, le vergini allucinazioni d'una realtà diversa, luminosa di fede e di amore!

§ 4.

Se dovessimo ora raccogliere in un unico genere le specie varie di finzione che abbiamo più sopra analizzate, diremmo che questo genere comune è la credenza. Si crede affettivamente e praticamente (con gli atti volitivi) come si crede intellettualmente; e in credenze intellettuali si esprimono le credenze affettive e pratiche, così come a finzioni intellettuali si deve il costituirsi logico delle finzioni del sentimento e della volontà. Nella credenza si assommano tendenze, affetti, bisogni, idealità, componendovisi talora in un ordine logicamente fittizio, cioè con una presunzione di coerenza che l'analisi smentirebbe. Può infatti avvenire che la espressione intellettuale di un dato modo di credere, mentre rivela una determinata tendenza logica, sia però in intimo ma ignorato o dissimulato conflitto con altre tendenze, quali quelle affettive e pratiche, le quali se fossero denudate darebbero luogo a espressioni di credenza diversa, a loro conforme. L'individuo, in altri termini, che esaminasse sè stesso, potrebbe scoprire ch'egli crede affettivamente o praticamente in maniera diversa che intellettualmente.

Di questa specie di finzioni ebbi un interessante documento in un dialogo da me avuto con un illustre amico, circa la credenza nella divinità. < Io non

ammetto egli diceva che si possa essere atei, perchè non possediamo alcuna prova nè della non esistenza nè della esistenza di Dio. Affermare che Dio esiste o che non esiste ha per me tanto valore quanto asserire che in un astro lontanissimo, impercettibile, esiste un mostro qualsiasi, strano e ignoto, una chimera. Tale asserzione mi lascia indifferente, e così l'affermazione della esistenza di Dio: non mi preoccupo affatto della possibilità che Dio esista, essendo essa estranea alla mia logica, e il problema essendo dunque per me insolubile ». All' illustre amico io risposi che non credevo alla sincerità intima delle sue affermazioni, perchè non potevo ammettere che, data la possibilità da lui obbiettivamente posta, della esistenza di Dio, egli potesse sentirsi indifferente come innanzi all'idea che esista eventualmente una chimera in un mondo impercettibile. La divinità non poteva concepirsi senza gli attributi che la rendano tale, i quali, se compresi, non potevano non preoccupare; se egli si sentiva indifferente, escludeva per certo nell' intima sua fede quella possibilità di esistenza che teoricamente ammetteva, e il suo credere reale era dunque diverso dal suo credere teorico: egli era ateo in maniera più intima di quanto credeva egli stesso; ateo di fatto, pur non essendolo di principio, ateo di sentimento se non di pensiero; e la sua indifferenza non traduceva l'insolubilità del problema, ma l'apriorismo della negazione.

Il mio illustre amico non nascose alla fine la propria sorpresa nello scoprire in sè, alla stregua della logica, più di quanto da prima gli appariva, e convenne. Egli era nella sua credenza, ingannato dal suo pensiero teoretico che, obbiettivato, gli suggeriva un giudizio falso, fittizio, intorno al suo reale sentimento. Era, quasi direi, superficiale e stereotipo il

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