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sistere un intimo accordo onde non si menomi in sè, nella personalità propria, la dignità di fine (1).

A dir vero, può sussistere una fede subbiettivamente razionale, la quale però abbia vinto l'intelletto, adattandolo a sè: fides intellectum quaerens: e l'individuo che dalle tempeste dell'anima sia uscito con una giustificazione del suo credere la quale gli apparisca non pura adesione di sentimento e di volontà ma anche di ragione, non può dirsi mendace. Lo stesso studio d' intellettualizzare il sentimento attesta in lui il bisogno della veracità interiore. E può anche darsi che sia tale la tempra dell'anima sua, che quest' unica soluzione sia possibile in lui, del dramma della fede morale. Il sentimento può in lui predominare sulla ragione, pur atteggiandosi a ragione esso stesso; e può, questo sentimento animatore della personalità, costituirsi come volontà promotrice d'una determinata credenza (poniamo nell'esistenza di Dio, nell'immortalità dell'anima, nel libero arbitrio, e nella felicità eterna), e come inibitrice della critica che obbiettivandosi e ricercando la prova scientifica sminuirebhe o infrangerebbe quella fede.

Se tale è la costituzione psicologica, o l'essenza dell' Io personale, il pretendere di rimutarla convertendola in una costituzione opposta, è tanto vano quanto il pretendere di rimutare radicalmente la costituzione fisica. Ma il fatto morale può anche elevarsi fino al Regno della ragione logica obbiettiva o scientifica; la fede può esigere, in una determinata tempra di personale costituzione, la prova razionale che possa valere indipendentemente dal cosidetto bisogno del cuore, e dalle ragioni intime di

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Die Metaphysik der Sitten., pag. 234-8, Hartenstein,

questo soverchiatrici di quelle della mente; e per questa specie di mentalità o di personalità, la pura volontà di credere, la fides intellectum quaerens, è nella morale tanto illegittima, quanto sarebbe nella pura scienza della natura.

Per questa esigenza della ragione teoretica non è del resto da ritenersi che debba venir meno la fede morale, la volontà del bene. La volontà morale è per sè stessa feconda, e può crearsi un mondo teoretico obbiettivamente razionale, da cui possa trarre sincera ispirazione e conforto. Non è da escludersi a priori che un mondo teoretico razionale, obbiettivo, possa costituirsi anche come mondo morale; non è da escludersi che sia conciliabile senza finzione la ragione pratica o la volontà morale, con la ragione teoretica o critica, cioè che possano mantenersi integri e rigogliosi i valori morali seguendo la scienza.

La moralità che armonizzi con il sapere scientifico è in vero anche la più degna, perchè risponde all'ideale dominio dell'intiera coscienza morale. Essa rappresenta la piena coerenza del fatto del credere alla totalità delle energie personali, riflettendo con la volontà affettivamente animatrice della fede, la luce intellettuale pura, dell'obbiettiva ragione.

CAP. II.

Il prammatismo.

§ 1. La concezione etica prammatistica. — § 2. Osservazioni critiche. § 3. La purificazione dell'anima. § 4. Il conflitto delle fedi.

$ 1.

La dottrina del James che sopra esponemmo è detta prammatismo. Essa riposa sopra una concezione della verità, che può dirsi subbiettiva e pratica. È vero, è razionale, ciò che dà allo spirito un senso di pace, di sufficienza, di sollievo, e che pertanto in me si conforma all'intima natura mia, alla mia volontà di credere, ai miei bisogni. È attività anche il pensiero, e attività intima, natura soggettiva, reazione della personalità; nelle condizioni attuali, nelle nostre presenti tendenze, ha dunque il suo focolaio anche il vero, essendo questo una costruzione nostra, una risposta alla situazione psicologica subbiettiva, « our expression of ourselves under the conditions > (1). Secondo questa dottrina una verità esprime non un oggetto esteriore che noi subiamo passivamente, ma

(1) JOSIAH ROYCE — The Eternal and the Practical, in The Philosophical Review, Marzo, 1904, pag. 122.

in quanto è riconosciuta e sentita come verità, è un adattamento attivo della personalità nostra, e come questa muta, così muta, diventa, di continuo il mondo delle verità. A noi sembra che le verità ci s'impongano dal di fuori, e che noi siamo verso di esse passivi; all'incontro sono opera nostra, espressione della nostra volontà, e s'impongono alla nostra natura perchè in essa nascono e vi corrispondono. Lo stesso atto, poniamo, della enumerazione e della classificazione di oggetti che sembrerebbe del tutto disinteressato, obbiettivo, esprime un interesse, una cooperazione della personalità intima. Nulla di eterno, di stabile, esiste dunque nel vero; esso si svolge nell'ordine pratico dei bisogni interiori trasformandosi con essi, modellandosi sull'interesse, sull' utile della personalità, di cui è segno la calma. Fosse pure per altri pregiudizio ed errore la mia credenza; in quanto è mia, questa credenza è vera.

Differiscono le verità col differire delle personalità, col mutare dell'utile proprio dell'anima; il prammatismo puro è assoluto pluralismo, è divergenza e contrasto di fede, non solo fra individuo e individuo, ma nello stesso individuo, per effetto del mutare dei suoi bisogni. Già l'Emerson scrisse che una sciocca perseveranza nel medesimo pensiero è la mania degli spiriti piccoli, adorata dai piccoli uomini di Stato e di Chiesa, dai piccoli filosofi, dai piccoli artisti. Un'anima grande non s'inquieta. Dite francamente che cosa oggi pensate e domani fate lo stesso, sebbene possiate contradirvi da un giorno all'altro.

Il prammatismo sancisce appunto questo principio, per cui si legittima il divenire logico per il divenire psicologico; la coerenza del pensiero è, secondo questa veduta, non del pensiero a sè stesso, ma del pensiero alle inclinazioni passionali e volitive della per

sonalità; è subbiettiva, non obbiettiva. Tale dottrina, come apparisce da ciò che più sopra riportammo dal James, è essenzialmente etica. Dei principî dunque della Morale si giudicherà razionalmente secondando la propria natura, e sono da dichiararsi veri se a questa si conformino, indipendentemente da ogni obbiettiva evidenza (impossibile a ottenersi secondo i prammatisti, essendo la coscienza morale assolutamente soggettiva), all'infuori insomma di ogni ricerca critica. L'uomo mira ad agire, ed è attività, come ripetiamo, il suo stesso pensiero; è volizionale la sua natura, ond'egli è necessariamente indotto a riguardare il valore logico della sua fede morale dalle conseguenze pratiche. Se queste sono piacevoli, tranquillanti, utili, i principî di quella fede saranno veri; saranno falsi nel caso contrario.

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Il prammatismo come indica la stessa parola – è dunque dottrina essenzialmente pratica, per essa accordandosi alla ragione pratica il primato sulla ragione teorica, alla volontà sull' intelletto, all'utile subbiettivo sul vero obbiettivo. E sebbene, nota il Royce, si presenti come dottrina nuova, è in sostanza dottrina antica, di cui si hanno tracce notevoli la grande importanza riconosciuta nella filosofia alle considerazioni pratiche nelle dottrine degli Stoici, degli Epicurei, di Platone e di Aristotele, di Fichte e di Hegel; modernamente, come fu svolta dal James, così ne' suoi principî fondamentali trovò sostenitori, e divulgatori dovunque. Romanes, Huxley, Balfour, Seth, Sigwart, Simmel, Deussen, Hibben, F. C. I. Schiller, Fouillée, Brunetière, Bonatelli, difesero questo punto di vista pratico come risolutivo, mirando a conciliare con la ragione quei fattori non razionali che risiedono nell'emozione e nella volontà (1).

(1) Cfr. W. CALDWEL

· Pragmatisme, in Mind. Oct. 1900.

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